Recensioni — 07/06/2023 at 10:47

Unconventional Cechov. Zio Vanja di Tomi Janezic parla lituano al WienerFestwocher.

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RUMOR(S)CENA – VIENNA – Cosa c’entra Lou Reed con Cechov? C’entra, perché Perfect day è l’ironica colonna sonora delle vite infelici (ma anche un po’ tragicomiche) di questo meraviglioso Zio Vanja messo in scena dal pluripremiato regista sloveno Tomi Janezic. Un Cechov al 100%, forse al 110%. Lo spettacolo visto al Festival Festwocher di Vienna è una produzione del Piccolo Teatro nazionale di Vilnius, e gli attori (bravissimi) sono tutti lituani; lo spettacolo, nonostante la lunghezza (tipica degli spettacoli di Janezic: 4 ore e 15 minuti con intervalli) segue le trame e gli intrecci cechoviani quasi in modo letterale, salvo espanderle indirettamente all’oggi, alle preoccupazioni del mondo attuale, a ciò che ci inquieta nelle nostre vite quotidiane; vediamo i personaggi di Cechov barcamenarsi tra rimpianti e i sogni del passato, sacrificare le loro vite senza che nessuno avesse chiesto loro di farlo. E quelle rinunce allora, in nome di cosa sono state fatte? Ne è davvero valsa la pena? Cosa siamo disposti a fare per il successo, per la carriera? Se lo chiede Janezic:

D-Vania -photo-D.Matvejev©

Ci sono molte cose da dire su Zio Vanja perché ci sono molti temi importanti, uno è il lavoro; la domanda è: Quanto guadagni per vivere? Hai un lavoro? Sei disoccupato? Lavori per vivere o col lavoro dai un senso alla tua vita, dai vita ai tuoi sogni? Quanto hai lavorato per qualcuno, per l’amore di qualcuno? Quanto il tuo lavoro è un sacrificio? Hai bisogno davvero di lavorare così tanto? Ti piace lavorare, o forse sei escluso, non hai il diritto di lavorare? Noi viviamo in questo mondo così ultra produttivo!  Il lavoro è un tema che suona molto attuale per me: ne siamo ossessionati; invece di sviluppare modi per lavorare sempre meno, oggi lavoriamo sempre di più..

È davvero incredibilmente attuale questa nuova produzione di Cechov che guarda a un mondo pieno di errori, di inciampi, di imbarazzi, di cose non concluse, di storie che prendono la strada sbagliata, di persone inutili che non ti cambiano la vita ma che accetti di seguire e di incontri con uomini e donne straordinarie che però, arrivano troppo tardi, di sogni che si dileguano troppo presto senza che noi facciamo qualcosa per inseguirli; sono gli inciampi, i fail, quelli che la gente ama seguire sui reel di Instagram e che sono più interessanti delle immagini delle persone di successo. Questi personaggi così vulnerabili sulla scena, alla fine non sono così drammatici e noiosi come la tradizione cechoviana ce l’ha portati sino a noi; hanno un ruolo preciso: falliscono per noi, e noi attraverso le loro sconfitte, ci liberiamo. “MI sono divertito: mi piaceva l’idea dei personaggi che falliscono in qualche modo, perché ci liberano, proviamo empatia, non sono miserabili ma ci sentiamo superiori.

D-Vania-photo-D.Matvejev©

Questo allegro, solare, divertente, fantasioso e assolutamente non convenzionale Cechov, porta fuori la commedia che è sotto ogni riga del testo, e traccia un progressivo e caustico smascheramento interiore dei personaggi fino a scavare le ragioni delle loro relazioni mancate, dei loro disagi. Le circostanze dolorose della loro vita hanno qualche momento di illuminazione, una vera via di fuga: una cartina dell’Africa dove immaginare di scappare con una motoretta, un vestito a fiori per diventare per un momento, la donna bellissima che abbiamo sognato di essere per amare l’uomo che non ti ha mai degnato di uno sguardo. Sì, poi c’è anche Zio Vanja, ma la fotografia della locandina ha un solo protagonista: l’ja Il’iè Telegin, proprietario terriero caduto in disgrazia economica, con viso butterato che nessuno guarda e la cui storia non interessa a nessuno. Noi siamo lui, quel nome nei titoli di coda che nessuno nota.

Zio Vanja si sacrifica per tutti, e quando comprende che il suo lavoro per tenere l’amministrazione della tenuta del vecchio Professore in pensione Aleksandr Vladimirovič Serebrijakov, è stato inutile, e che ha perduto anche la speranza dell’amore, eccede, ma il tentativo di omicidio dell’uomo che lui disprezza perché incarna la mediocrità e il successo non meritato, si ribalta in un’azione da slapstick comedy. I personaggi sono come dei clown, inciampano, cascano, cantano male e generano simpatia in queste loro insicurezze. Siamo buffi e rozzi nel nostro tentativo maldestro di riuscire a realizzare i nostri sogni; incastrati nei doveri e nella morale, ci freniamo, blocchiamo le nostre passioni e lasciamo che la vita ci sorpassi. Il fallimento è dietro l’angolo, comprendiamo il vero volto delle illusioni troppo tardi e ci vergogniamo delle nostre stesse vite. Il percorso teatrale non capovolge la prospettiva narrativa cechoviana, ma rende la vergogna in qualche modo, la vera protagonista.

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 Il focus che abbiamo scoperto in questo processo a Vilnius è quanto questo testo sia connesso con il tema della vergogna, dell’imbarazzo; in psicoanalisi la vergogna è considerata un tesoro, perché nella vergogna siamo collegati con noi stessi, l’imbarazzo ci spiega come consideriamo noi stessi, come viviamo l’essere ciò che siamo; è un sentimento molto intimo.

La vergogna è connessa anche con il teatro, con la paura di recitare, di mostrarsi in pubblico, di sbagliare; è la paura del giudizio degli altri che ci osservano; è per questo che un faro di luce letteralmente segue i personaggi, che hanno con questo “spot” un rapporto fisico di odio-amore: in alcuni momenti vorrebbero avere tutta la sua attenzione e in altri vorrebbero che si spegnesse del tutto. La vergogna, la paura di essere rifiutata dal medico Astrov che segretamente ama e il timore di indegnità è pienamente incarnata da Sonja, la figlia del Professore. Vanja nasconde invece, una aggressività sotterranea legittimata dalla necessità di una resistenza al cambiamento, che in lui si accompagna all’esperienza della dipendenza, quasi maniacale, dal lavoro. Sia Sonja che Vanja non si sono mai dichiarati alle persone che amavano perché troppo penosa sarebbe stata l’esperienza umiliante del rifiuto.

L’anziana madre di zio Vanja sulla sedia a rotelle e tracheostomizzata, adora il Professore, e dà vita in questo suo affetto improbabile, ad alcuni siparietti teatrali molto divertenti; lei si esprime con un laringofono che rende difficile la comprensione e quindi tutto il dialogo cade sempre nel comico. Immobilizzata in carrozzina, sempre in venerante sguardo verso il Professore, è anche lei vittima di un amore celato, che non riesce a cancellare neanche quando le viene comunicato che la casa verrà venduta e gli ospiti non avranno più una dimora dove stare. Sino a che punto siamo disposti a farci sopraffare, a farci dominare, e a diventare ridicoli in queste nostre dipendenze?

Comprendiamo il lungo lavoro degli attori sul personaggio che arriva sicuramente da un faticoso confronto con i propri vissuti emotivi, i reciproci sentimenti e stati d’animo, con lo scandagliare le storie degli altri da angolature inusuali, in un mix esplosivo di spontaneità e creatività; guidati da Janezic questi straordinari attori hanno concentrato il focus sull’analisi creativa delle dinamiche, delle tensioni, dei conflitti drammaturgici del testo di Cechov. Rimangono folgoranti alcuni passaggi: il commuovente momento in cui la giovane e infelice Sonja si spoglia dei suoi abiti modesti per mettersi un bel vestito a fiori per sognare di attrarre l’uomo che ama, e il muoversi fuori e dentro la luce di scena del Professore, in un tentativo affannoso e impacciato, di ricerca della fama; in fondo, sono tutti dentro un quadro scenico: una delle attrici ha proprio questo unico ruolo di osservare i personaggi dall’esterno, entrando e uscendo continuamente dal palcoscenico, posizionandosi tra il pubblico. Anche altri personaggi si siedono in platea: si guardano, pirandellianamente, vivere.

Questo Zio Vanja è stato un viaggio magnifico; è straordinario creare insieme con questi attori: sono magnifici attori e magnifiche persone. Ho lavorato molto su Cechov, avevo già lavorato su Zio Vanja in Italia e ho passato molta parte della mia vita su questo testo, dunque non vedevo l’ora di vederlo in scena, mi sento davvero molto connesso con Cechov. Ci sono così tante cose da scoprire, da trovare ed è bellissimo lavorare su autori così! Non ci sono molti scrittori come Cechov. Sto scoprendo nuovi modi di rappresentarlo, modi giocosi e folli, pazzi e tutti assolutamente veritieri.

La scenografia di Branko Hojnik collaboratore storico di Janezic, è straordinaria: pannelli di compensato rivestono letteralmente tutta  la scena che altro non è un interno di casa modesta dove si intravede una cucina con le pentole sul fuoco e cibo e samovar sul tavolo; ma lo spazio principale della rappresentazione è un salotto dove accadono gli incontri, gli amori, le confessioni, gli abbandoni, gli addii. Confessioni di amori struggenti che passano dai testi di canzoni degli anni Ottanta suonate in diretta mentre viene azionata la macchina del fumo a ricordarci che la storia è costruita sul momento apposta per noi. Il tutto mentre qualcuno sbatte contro lo spigolo della porta, o mentre le stoviglie cadono rovinosamente per terra. Il sofà è l’ambìto oggetto d’arredo dove passa molto tempo il pigro, ipocondriaco e anziano Professore, invidiato da Zio Vanja perché ha come moglie Elena, colei che segretamente ama da molti anni; Vanja non si è mai capacitato della scelta di Elena: perché perdere i suoi anni migliori dietro un uomo inconcludente, per giunta di molti  più anni di lei.  Ma Elena ama a sua volta sotterraneamente il medico- filosofo Astrov, la cui motoretta collocata al centro della scena, è il simbolo di un “andarsene prima o poi” che è il pensiero costante di tutti i personaggi. Pensiero ossessivo ma che non approda a nulla. Il processo di consapevolezza dei personaggi si traduce nel finale, non in un risarcimento morale ma in un amaro ritorno allo stato precedente. In sostanza, in una sconfitta. Standing ovation davvero meritata. A quando in Italia?

Visto al Festival Festwocher di Vienna il 31 maggio 2023

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