Danza — 05/03/2022 at 17:57

La modernità di Forsythe: dal Novecento con furore

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RUMOR(S)CENA – ROMA – Una doppia fascia di luci, azzurra e gialla, accende la facciata del Teatro Costanzi per la prima del trittico Forsythe / Inger / Blanc. E’ il 25 febbraio e si balla anche per l’Ucraina all’Opera di Roma. Sembra passato tanto tempo dalla conferenza stampa – appena due giorni prima – quando un motivato Francesco Giambrone, il nuovo sovrintendente, ed Eleonora Abbagnato, riconfermata direttrice artistica del corpo di ballo, si affiancavano nell’auspicare un rilancio del balletto negli enti lirici, in molti dei quali i ballerini sono stati mandati a casa. È stato bello fantasticare per 24 ore un futuro migliore per l’arte e per la nostra vita, prima che soffiassero ferocemente venti di guerra. Prima di leggere una notizia come quella di Oleksiy Potyomkin, primo ballerino dell’Opera di Kiev, che ha appeso la calzamaglia al chiodo e si è messo tuta mimetica e un fucile a tracolla per andare a combattere contro i carrarmati di Putin. O dei ballerini del Kiev Ballet rimasti bloccati a Parigi che hanno lanciato un appello all’Italia per poter proseguire la tournée e aiutare con i loro proventi coloro che sono rimasti in patria.

Fa male. Come se avessero inchiodato delle farfalle su una tavola di legno. Come scoprire che la bellezza non ci salverà.

Herman Schmerman di William Forsythe
Federica Maine e Claudio Cocino
Foto: Fabrizio Sansoni-Teatro dell’Opera di Roma

Eppure. La serata è stata intensa, emozionante. Sala piena e non era scontato: la scommessa di Abbagnato di puntare non solo sui grandi e inevitabili titoli classici ma anche sul repertorio del Novecento e su produzioni contemporanee comincia a pagare, persino con un pubblico abitudinario come quello dell’Opera di Roma. Apre Herman Schmerman del 1992 di Forsythe ed è subito alba chiara. I danzatori dell’Opera non sono più ai primi approcci con questo maestro del Novecento che è stato in grado di coniugare l’astrattismo di Cunningham con il virtuosismo classico di Balanchine. Brillano nei passi – e nei magnifici costumi di Versace –Marta Marigliani, Annalisa Cianci, Marianna Suriano, Alessio Rezza e Giacomo Castellana nel quintetto, Susanna Salvi e Michele Satriano di un divertissement che è pura costruzione coreografica, secondo quanto rivela lo stesso Forsythe: “un titolo affascinante che non significa nulla” come “questo balletto non significa nulla”. Si danza per il piacere di danzare, e bene, sull’accompagnamento musicale di Tom Willens che nulla concede a distrazioni melodiche.

From Afar di Nicolas Blanc
Foto: Fabrizio Sansoni-Teatro dell’Opera di Roma 2018


Walking Mad di Johan Inger
Giorgia Calenda e Jacopo Giarda
Foto: Fabrizio Sansoni-Teatro dell’Opera di Roma

Ha un filo di trama, più emozionale che di racconto, il secondo brano di Johan Inger, Walking Mad, che risale al 2001 ma è un’ideale cerniera fra la corrente narrativa nella danza rappresentata da Jiří Kylián e Mats Ek e gli spunti concettuali da stanza della mente (o dell’anima, nel caso di Inger) del nuovo millennio. Il bolero di Ravel – che accompagnò alle sue origini prima le danze sensuali di Ida Rubinstein e poi quelle da eros pulsante e sudato creato da Béjart – diventano qui lo sfondo di inquietudini esistenziali, tra solitudine e tentativi di relazioni che uno steccato di legno ostacola o permette con aperture improvvise, ribaltamenti, cambi di posizione. C’è molto dell’immaginario di Ek in questo lavoro, ma anche la fioritura di Inger, destinato negli anni successivi a diventare uno dei coreografi più interessanti del panorama contemporaneo. E curiosamente, in risonanza con la struttura del brano precedente, anche Walking Mad cambia atmosfera, passando da movimento di massa a duetto meditativo, sostenuto dalla musica rarefatta di Arvo Pärt.

From Afar chiudeva la serata con un nuovo che non avanza. Nicolas Blanc, promettente firma della danza dopo essere stato eccellente danzatore, si confronta con la vasta partitura di Ezio Bosso, Oceans, e con una trama che racconterebbe la storia di una comunità in viaggio che naufraga separando, fra gli altri, le vite e le storie di due amanti. Blanc maneggia bene i movimenti di massa, ma non sembra che abbia molto da dire in più rispetto al già detto. Al confronto, il pezzo di Forsythe di trent’anni prima sembra futurista. Non si viene chiamati maestri per caso.

E tuttavia, l’incombente carcassa di nave (suggestiva creazione di Andrea Miglio) che affonda pian piano nel blu cupo della scena, la danza che si spegne nei corpi che rotolano via quasi nel silenzio, risuona con quest’oggi cupo. Anche noi siamo spettatori muti di una tragedia. From Afar assume il sapore di una profezia in atto, e in questo, davvero, è un’opera simbolicamente contemporanea.

Visto al Teatro dell’Opera di Roma il 25 febbraio 2022

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