Spettacoli — 03/11/2021 at 12:40

Love, di Alexander Zeldin, in prima nazionale al Romaeuropa Festival 2021.

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RUMOR(S)CENA – ROMAEUROPAFESTIVAL – ROMA – Una volta sistemati sulle poltroncine del teatro, le appliques laterali della platea restano accese, mentre sul palco giunge una disturbante luce bianca a tutto campo. Nessun artifizio, nessuno spazio lasciato ad interpretazioni e suggestioni. Nessuna possibilità di distrarsi. La prima sensazione è quella di soffocamento, di mancanza di via d’uscita, di inevitabilità. La scena è desolante. Lo si comprende sempre di più, via via che l’interpretazione degli attori inizia a farci entrare nella loro vita: assistendo allo schizzato andare e venire da quell’esiguo spazio, alla loro ansia di stare al mondo, il languore di dover vivere in quel luogo che non è la loro casa, ma che dovrà esserla per un tempo indefinito.

Ed ambientare il tutto alle porte di una ipotetica vigilia di Natale, fa traboccare la maledetta goccia. La disperazione di essere caduti nel baratro della povertà però non li trova arrendevoli. Il giovane padre scherza con i suoi ragazzi adolescenti. Il figlio adulto accudisce amorevolmente la madre anziana e malata. I giovani immigrati medio orientali, catapultati mille anni luce fuori dalla loro civiltà. Una scena su tutte. Per compiacere la genitrice, il figlio le lava i capelli nel lavello della cucina improvvisata, con il detersivo per i piatti. Il momento non è certo come il rimando alla iconografia cinematografica potrebbe evocarci, ma per quanto triste e desolante, Alexander Zeldin tratta questa scena così delicatamente da farla diventare un vero momento di felicità, di amore.

LOVE crediti foto Nurith Wagner Strauss

I protagonisti soffrono di una convivenza forzata e forzatamente sono costretti ad assistere alle miserie umane degli altri occupanti lo spazio comune e ad esibire, senza privacy alcuna, le proprie. Così esiguo lo spazio drammaturgico, che per andare a giocare a calcio, o dall’assistente sociale, a scuola, i personaggi devono scendere dal palco e letteralmente andarsene via. O sistemarsi sulle poltrone in prima fila del teatro. A fare da spettatori alla loro stessa umile esistenza. In scena il tema del lavoro, di una vita fatta di sussidi e poche certezze e di una assistenza, quella sociale, che è un labirinto di appuntamenti mancati o dell’ultimo minuto, di parole concitate lasciate ad una segreteria telefonica. Di burocrazia e di-speranza. Non pare affatto di assistere ad un lavoro teatrale.

LOVE Nurith Wagner Strauss

La sensazione lacerante è quella di essere proprio lì con loro. E loro lì con noi. L’attesa del futuro incarnata dalla giovane donna in gravidanza: un bimbo non potrà mai venire alla luce in quel mondo! I due adolescenti, per esempio, sono esattamente dei ragazzini che cantano, discutono, si incupiscono, vanno a scuola e adorano i dolci: ascoltano musica a palla dagli auricolari e preparano il saggio di danza di fine anno. La figura della anziana madre, pure malata, è straziante, ma anche la più dolce, arrendevole. Ad un tratto inizia a scendere la scaletta del palcoscenico, abbandonando il bastone che la sorregge, ed intraprende un viaggio difficile, barcollante ma fiero, pieno di forza e dgnità, tra le poltrone del teatro, si affanna ma riesce a raggiungere la sua meta: il foyer. E siamo noi che siamo dispiaciuti, commossi per la consapevolezza delle nostre comode opportunità, come quella di poter andare a teatro ad assistere, a queste narrazioni di miseria ed esclusione sociale.

LOVE crediti foto Nurith Wagner-Strauss

Nulla di recitoso, di artefatto. E’ fin troppo reale il disagio che provoca l’esistenza di un unico bagno, di due tavoli e poche sedie e di un lavatoio diviso in tre scomparti, di una stanza singola abitata da una famiglia formata da quattro persone: e una frugale cena che lascia un inesorabile vuoto nello stomaco e nell’animo. Conflitti per la proprietà di una tazza da colazione, per andare in bagno, ma anche a volte risate e buonumore del genitore per intrattenere la piccola dodicenne ed un investimento in modesti festoni natalizi per dare un’idea di “casa”. E le vite de i personaggi vanno avanti. E si intersecano l’una nell’altra, tra momenti di promiscuità, precarietà, vergogna, ma anche di tenerezza e di amore. Love: il motore di tutto. Amore salvifico rappresentato dagli inevitabili gesti di tutti i giorni.

Questa pièce, tratta dal libro scritto dallo stesso Alexander Zeldin, è frutto anche di uno studio portato avanti attraverso la vita reale di un gruppo di famiglie, costrette a vivere in alloggi precari, mescolando attori e tecnici. Nessun frutto di fantasia drammaturgica, ma realismo all’ennesima potenza. Giunge spontaneo alla mente che, per una certa fetta di registi britannici, sia molto urgente focalizzare l’attenzione degli spettatori su i disagi sociali: Ken Loack , attraverso il grande schermo, con il suo “Io, Daniel Blake” ne è un’altra vibrante dimostrazione.

LOVE crediti foto di Nurith Wagner Strauss

Classe 1985, il regista e scrittore britannico Alexander Zeldin – già assistente alla regia del grande Peter Brook – per realizzare questo allestimento, rigorosamente in lingua originale, ha magistralmente posato il suo sguardo in maniera delicata, ironica e commovente. La sua narrazione non istiga alla rabbia, ma accende il suo occhio di bue a mille volts sul crimine più prurigginoso della terra: la povertà. In contemporanea, a pochi chilometri da noi, si stava preparando la rappresentazione dell’ennesimo, milionario, inutile concilio dei potenti della Terra (G20 a Roma). Ironia degli eventi.

Un vibrante lavoro che ha debuttato al National Theatre di Londra nel Dicembre del 2016 ed è stato in tournée in vari festival e teatri in Inghilterra e in Francia. Vincitore di diversi premi ed eletto spettacolo dell’anno nel Regno Unito. La BBC e la Cuba Pictures nel 2018, inoltre, hanno trasformato la pièce teatrale in un film, andato in onda su Bbc Two nel 2018. Questa versione è stata coprodotta dal Teatro di Roma e presentata al Romaeuropa Festival edizione 2021 il 28, 29 e 30 ottobre.

LOVE

Regia: Alexander Zeldin
Con: Amelda Brown, Naby Dakhli, Janet Etuk, Oliver Finnegan, Joel MacCormack, Hind Swareldahab, Daniel York Loh, Amelia Finnegan
Scenografi e costumi: Natasha Jenkins
Luci: Marc Williams
Sound designer: Josh Anio Grigg
Movimenti: Marcin Rudy
Assistente alla regia: Elin Schofield
Assistente ai costumi: Caroline McCall

Foto: Nurith Wagner-Strauss

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