Recensioni — 02/12/2022 at 15:45

Della realtà di una fiaba

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RUMOR(S)CENA – GENOVA – Nella Cenerentola di Gioacchino Rossini, composta su libretto del poeta (“rappezzino teatrale” sembra si definisse questa funzione) Jacopo Ferretti e secondo titolo del cartellone 2022/2023 del Teatro Carlo Felice di Genova, ci troviamo di fronte io credo, nella versione rossiniana in cui anche con (artaudiana) crudeltà è eliminata ogni dimensione magico/favolistica, ad una fiaba che prende progressivamente consapevolezza di sé e che, dunque, ad un certo punto ‘sa’ di essere una fiaba, trasformandosi così in realtà.

Si può infatti definire la fiaba stessa una modalità narrativa capace talvolta di esprimere l’inesprimibile, cioè ciò che sottotraccia forma le nostre esistenze, trasfigurandolo nelle forme di un racconto che è in fondo un punto di osservazione che la realtà conquista su se stessa. Forse ultimo capolavoro della tradizione dell’italica Opera Buffa, questo componimento rossiniano, ricco come di consueto di continui slittamenti metateatrali in cui precipita, come in un gioco di scatole cinesi, la rappresentazione drammaturgica, può apparire in sostanza come un disvelamento, mascherato in un paradossalmente ‘allogeno’ trionfo della bontà, di un mondo al contrario duro e crudele, un mondo verso il quale, a quanto dicono studiosi e biografi, il molto disincantato Rossini sembra non nutrisse una profonda simpatia.

Maestro inarrivabile, e quasi sintesi, di una forma di arte operistica, all’apparenza semplice ma in realtà musicalmente assai complessa e capace di una profondità inattesa, Rossini usa in questo “Dramma giocoso” il comico (con passaggi talvolta anche assai caratterizzati) come una leva potente del suo realismo, o meglio, naturalismo, e con una finalità in fondo catartica (di liberazione) che ne conferma la antica fratellanza con l’approccio drammatico, in una mescolanza di linguaggi e segni di grande significatività anche figurativa.

Le cronache ci dicono che fu un lavoro scritto in un mese, anche con espliciti assemblaggi da Rossini stesso ovvero da altri (quasi allievi di una bottega di pittore rinascimentale), ma rimane un dono musicale spiccatamente Rossiniano, in cui la trama melodica quasi si disinteressa della narrazione per generare innanzitutto dalla sua interna energia, in una sorta di estetica autonomia, le parole del canto.

Una musica che sembra dunque, come spesso nel compositore pesarese, alimentarsi di sé stessa, in un molto caratteristico crescendo che, letterariamente parlando, suggerisce anche la reiterazione e ripetizione, che della parola privilegia la tonalità, di certa avanguardia poetica. Condurre il gioco sembra la sua finalità, dettare i ritmi, talora accellerati, talora sincopati, talora spezzati della messa in scena e dunque della Vita (con la V maiuscola) che quella stessa messa in scena va ricercando, nella speranza di fortunosamente intercettarla.

Così il richiamo al supposto “trionfo della Bontà” del bellissimo e funambolico finale di Angiolina conclude in effetti la trafigurazione, che Cenerentola innesca, dalla fiaba ad una realtà in cui i cattivi restano tali anche facendo da spettatori ad un trionfo che non li riguarda, non li coinvolge e soprattutto non sembra cambiarli o migliorarli.

La Storia va per conto suo, nonostante noi, sembrano dirci musicista e librettista, e con la storia anche la nostra vita, così i momenti più alti sono forse quelli in cui il senso di smarrimento intellettuale, l’amor di follia si fanno buffo accompagnamento alla nostra impotenza e alla nostra ininfluenza. Un esito scenico semplice al servizio di uno sguardo acuto e pessimistico, l’uso di ciò che è comico e buffo in fondo per farci elaborare il male che la società coltiva, riproducendo se stessa, e di cui inevitabilmente ci nutriamo.

Un giudizio sospeso, infine, sulla (presunta) ‘naturale’ bontà degli uomini di cui l’illuminismo, nella temperie del quale anche Rossini, seppur indirettamente, si era formato o che quanto meno aveva conosciuto, aveva a lungo discettato. Di qualità il cast della prima, dalla voce pastosa e profonda del contralto Hongni Wu, una Cenerentola di efficace presenza scenica, ai tre Bassi (Alidoro, Dandini e il “cattivo” Don Magnifico) vocalmente eccellenti e drammaturgicamente assai coloriti. Da sottolineare poi, oltre alla voce, la recitazione delle due sorellastre Tisbe e Clorinda, sempre in bilico tra il grottesco e il surreale.

La concertazione che li sorregge, insieme al sempre ottimo coro del Carlo Felice, sa sottolineare, insieme alla apparente semplicità della trama melodica, la complessità del tradizionale concertato rossiniano. Una Direzione d’orchestra che costituisce il felice esordio del Maestro Riccardo Minasi come nuovo direttore musicale a Genova. La regia a quattro mani recupera e valorizza parte delle bellissime scenografie di Emanuele Luzzati (da un allestimento del 1978) e grazie anche ad esse sa sottolineare l’importanza dell’immaginazione, e conseguentemente del gioco, come strumento di lettura del mondo. I movimenti scenici e le coreografie hanno un suggestivo tocco di modernità.

Visto al Teatro Carlo Felice di Genova, la prima il 25 novembre. Sala piena, applausi a scena aperta e lunga ovazione finale.

LA CENERENTOLA. Dramma giocoso in due atti. Musica di Gioachino Rossini. Libretto di Jacopo Ferretti.

Cast della prima : Don Magnifico: Marco Filippo Romano. Cenerentola: Hongni Wu. Dandini: Roberto de Candia. Ramiro: Antonino Siragusa. Tisbe: Carlotta Vichi. Clorinda: Giorgia Rotolo. Alidoro Gabriele Sagona.

Maestro concertatore e direttore d’orchestra Riccardo Minasi. Regia Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi. Scene e costumi ispirati all’allestimento di Emanuele Luzzati del 1978 a cura della Direzione degli Allestimenti Scenici. Luci Luciano Novelli. Allestimento Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova. Orchestra, Coro e Tecnici dell’Opera Carlo Felice Genova. Maestro del Coro Claudio Marino Moretti. Maestro ai recitativi Sirio Restani

Repliche 27 e 29 novembre/2,3 e 4 dicembre.

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