VOLTERRA (Pisa) – Operazione di grande gioco perverso è quella messa in moto da “Amleto + Die Fortinbrasmachine” (ma nella locandina il nostro segno + corrisponde a una disinvolta croce medievale), lo spettacolo di e con Roberto Latini in scena a VolterraTeatro e ricavato dal lavoro fine anni ’70 di Heiner Mueller, presentato nel ’90 al Deutsches Theater di Berlino Est, poi da lui stesso più tardi ricomposto in un “Hamlet/Maschine”, e ora, in un passaggio da padri in figli, nuovamente messo alla prova della scena. Il primo gioco di Latini è di inserire nel titolo, con un tocco di autobiografia artistica, il nome di Fortebraccio che è anche quello della sua compagnia, ma anche di distanziarsi, con questo richiamo al non-personaggio, figlio, straniero, estraneo, che arriva in scena quando “il resto è silenzio”, che chiude una carneficina di famiglia, dalla macchina della trama dell’Amleto scespiriano per oliarla e darle irrispettosa velocità. Vediamo così elementi muelleriani come l’Ofelia annegata con obi rosso e yukata bianco, loop del racconto di omicidi a catena e tutti sbagliati attuati dal principe di Danimarca, citazioni di gesti e intonazioni alla Carmelo Bene, ma anche macchine luminose e sonore alla Robert Wilson, grande alter-ego (whisky o vodka) del drammaturgo regista tedesco. “Una funzione del dramma è l’evocazione dei morti- Il dialogo con i morti non deve interrompersi fino a che non ci consegnano la parte di futuro che è stata sepolta con loro” (Heiner Mueller, 1986).
![foto di Stefano Vaja](https://www.rumorscena.com/wp-content/uploads/2016/07/latini-4.jpg)
Da questa sarabanda emerge sempre il corpo di Roberto Latini che, liberatosi dal costume classico giapponese e da ogni debito con i testi originari, si disegna come un atleta che a testa in giù rotea con le gambe sopra e sotto una griglia, con abilità da attore non da danzatore, superando la fatica e mostrando l’esercizio fisico senza reticenze. Ha sospeso sopra la testa un cerchio magico luminoso che diventa poi una scansione del tempo senza storia, ferma i gesti, li ripete, appare in tacchi alti rossi e copricapo con corna, cita passaggi in tedesco (non sempre perfetto ma cruciale).
![foto di Stefano Vaja](https://www.rumorscena.com/wp-content/uploads/2016/07/latini-5.jpg)
Il “vagabondaggio dentro una lettura” di cui parlava il critico Franco Quadri per la messinscena dell’originale Hamletmaschine, la “implacabile macchina del tempo dove i sopravvissuti di Elsinore… ripetono se stessi incapaci di morire” acquista nell’edizione volterriana di Roberto Latini un altro tipo di implacabilità: quella del Teatro che rimanda a se stesso, senza messaggi, spremiture etiche, abbandonato al puro spostamento di senso, autoreferenziale finché si vuole con un’eco di Bene-maschine, più delicato, meno guitto, ma pur sempre padrone della trama in nome di una libertà totale dell’attore, agente trasgressivo e trasmigratore.
Visto a Volterra, Teatro Persio Flacco, il 28 luglio 2016