Cinema — 30/06/2025 at 08:26

Fantasmi di nitrato, i film perduti che nessuno vedrà più

di
Share

RUMOR(S)CENA – Un capannone di cemento, opaco, anonimo. Non tutti, passando lì davanti, erano consapevoli di cosa custodisse all’interno delle sue pareti blindate. Tanto che la sera del 10 agosto 1965, quando cominciarono a levarsi le fiamme e la sirena dei vigili del fuoco risuonò all’interno degli stabilimenti della Metro-Goldwyn-Mayer a Culver City, non fu immediatamente chiaro che ad andare in cenere era la storia del cinema.

Sembra che tutto cominciò da una scintilla. Un banale corto circuito nell’impianto elettrico della Vault 7, all’incrocio tra Overland Avenue e Jefferson Boulevard, uno dei depositi più protetti dello studio. Una scintilla piccolissima, come quelle che avevano fatto scorrere la pellicola nei proiettori, portando sullo schermo i film che ora stavano bruciando. Ma il vero responsabile, il vero combustibile del disastro, fu il nitrato di cellulosa.

Usato come supporto per le pellicole fino agli anni ’50, il nitrato era amato per la sua resa visiva, ma temuto per la sua estrema instabilità chimica: bastava il calore, o anche solo il tempo, perché cominciasse a decomporsi, generando gas infiammabili e rendendosi autocombustibile. Una volta innescato, bruciava con tale intensità da non poter essere spento nemmeno con l’acqua.

Una pellicola in nitrato di cellulosa

In quella notte d’agosto furono distrutte decine di pellicole originali, molte delle quali uniche copie esistenti. Opere ormai invisibili, cancellate fisicamente dal mondo. The Divine Woman (1928), con Greta Garbo; A Blind Bargain(1922), con Lon Chaney in un doppio ruolo; The Mysterious Island nella versione originale del 1929… sono solo alcuni dei titoli perduti per sempre nell’incendio alla MGM. E poi c’è The Way of All Flesh (1927), con Emil Jannings, il Mephisto del Faust di Murnau. Con quel film, Jannings vinse il primo Oscar della storia, nel 1929. Nessuno oggi può più vedere la sua interpretazione: non ne esiste alcuna copia completa.

Theda Bara in Cleopatra

Ma il caso più celebre, più evocato, più inseguìto da collezionisti e cinefili, è London After Midnight, il film del 1927 diretto dal leggendario Tod Browning. Un horror muto, con Lon Chaney nel ruolo del vampiro ipnotizzatore. Atmosfere gotiche, doppie identità, occhi spiritati, denti aguzzi: tutto ciò che l’immaginario del terrore cinematografico avrebbe esploso nei decenni successivi, già lì, in quelle immagini ormai svanite. Un film perduto, il cui mito spinse nel 2002 il canale Turner Classic Movies  ad affidare a Rick Schmidlin un tentativo di ricostruzione: utilizzando fotografie di scena sopravvissute e la sceneggiatura originale, fu realizzato un montaggio narrativo di 45 minuti, una sorta di fotoromanzo animato con musica e didascalie. Non è il film, certo. Ma è il suo fantasma più prossimo, e l’unico modo che oggi abbiamo per affacciarci, anche solo di lato, sul volto scomparso di London After Midnight.

Tuttavia quella notte alla MGM non fu un’eccezione. Il nitrato, con la sua instabilità silenziosa, ha colpito al cuore il cinema più volte, trasformando archivi in tombe invisibili, e depositi in camere ardenti. La storia del cinema è punteggiata da incendi devastanti, spesso passati sotto silenzio, che hanno cancellato in un istante ciò che sembrava eterno.

Nel 1937, un rogo nel deposito della Fox Film Corporation a Little Ferry, New Jersey, distrusse quasi tutta la produzione muta dello studio. Tra le vittime, Cleopatra, film con Theda Bara, una delle prime icone erotiche del cinema, oggi ridotta a pochi fotogrammi superstiti. Nel 1952, un incendio alla Cineteca Nazionale di Roma compromise irrimediabilmente intere sezioni del cinema italiano del ventennio, comprese opere di registi minori ma significativi, e cinegiornali che raccontavano il paese negli anni più ambigui della sua storia.

A Blind Bargain

Nel 1959, anche la Cinémathèque Française vide parte della sua collezione andare in fumo, in un incidente che mise a rischio il lavoro di conservazione avviato da Henri Langlois. E ancora nel 2008, l’incendio agli Universal Studios di Los Angeles distrusse master audio e materiali originali di film e colonne sonore, lasciando dietro di sé un vuoto tecnico e culturale difficilmente colmabile. Tra i titoli scomparsi in questi roghi ci sono opere diventate leggendarie proprio per la loro assenza: Rapsodia satanica(1915), capolavoro italiano mutilato irreparabilmente; The Life of General Villa(1914), girato sul campo con Pancho Villa in persona; Alraune (1918), prima incarnazione cinematografica del mito della donna artificiale. Di questi film, non resta più nulla se non fotografie, frammenti, suggestioni.

A questo punto, chiudete gli occhi e cercate di immaginare: domani Pulp Fiction non ci sarà più, così come Titanic, scomparso nel nulla. Non rimossi dal catalogo on demand, non disponibili soltanto senza contenuti speciali. SCOMPARSI, SVANITI, PUFF!  Difficile, vero?

Eppure, a quei film è successo. Film premiati, acclamati, inseguiti dal pubblico, che tutti volevano vedere e che, da un certo punto in poi, hanno cessato di esistere. E c’è qualcosa di magnifico in tutto questo. La loro assenza è concreta, irrimediabile e fisica: come una pellicola consumata, un magazzino che prende fuoco, una mano che esegue un ordine mai più ritrattabile. Ma ancora più affascinante è il paradosso per cui oggi, la conservazione passa proprio attraverso la smaterializzazione. I film vengono copiati, backuppati, scaricati, devono sparire per perdurare. Si possono perdere nel cloud, certo, ma come fantasmi ritornano sempre.
Abbiamo sconfitto il tempo e lo spazio, o trovato soltanto un modo per non chiederci più cosa conti davvero?
Anche questo è difficile da dire.Ma se pensate che la vera piaga del contemporaneo sia l’assenza di oblio, siate coerenti. E smettetela di cercare su YouTube le scene sopravvissute di London After Midnight. Ne siete capaci?

Share

Comments are closed.