Recensioni — 29/03/2017 at 17:51

Il libro che deve “parlare” e andare in scena: Rossowilde. Il ritratto di Dorian Gray

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MILANO – «Di questo libro si può parlare. Di questo libro si deve parlare», questa è l’idea che ha guidato Claudio Orlandini e Davide del Grosso nel realizzare  ʺRossowilde. Il ritratto di Dorian Gray.”, ed è proprio con questa affermazione che inizia lo spettacolo prodotto da Comteatro al Teatro Litta. Sul palco sono presenti un treppiedi su cui è appoggiato un album bianco, un tavolo con colori e pennelli, due cornici di legno. Davide del Grosso, unico  protagonista in scena  dice: “Di questo romanzo si deve ancora parlare, l’opera necessita ancora di essere scoperta, ha bisogno che ci si addentri nel suo mistero per scoprire la sua sempre attuale bellezza”. L’attore invita il pubblico ad avvicinarsi con cautela al cuore dell’opera senza avere la pretesa di comprenderla, ma avendo la consapevolezza della sua grandezza. Per intraprendere il viaggio, attraverso l’opera di Wilde, è necessario possedere una mappa che ci guidi nelle sue misteriose pieghe fatte di paradossi e ironia, e sarà proprio Davide del Grosso a fornirla: davanti ai nostri occhi viene srotolato un lungo papiro che verrà appeso alle due cornici. Il papiro contiene gli appunti dei venti capitoli che compongono l’opera, i capitoli saranno le tappe del viaggio all’interno del romanzo “Il ritratto di Dorian Gray” e  l’attore diventa Virgilio.


Complice l’intimità della sala Cavallerizza e la recitazione coinvolgente, il pubblico si addentra nelle pagine del romanzo vorace di sapere il grande mistero che lo rende ancora così interessante. Vengono presentati i tre protagonisti, il principe buono, Basil, il principe gentile, Dorian e il principe paradosso, Henry. Ognuno dei tre ha una specifica caratteristica caratteriale che viene resa perfettamente da un particolare movimento, la scomoda bontà di Basil è resa da dei piccoli saltelli sul posto, la fiera bellezza di Dorian fa impettire l’attore e la strafottente spregiudicatezza di Henry lo fa sogghignare. L’abilità registica di Claudio Orlandini e la capacità attoriale che si dà in tutta la sua corporeità si combinano nella resa materiale degli eventi e dei personaggi. Ognuno di loro e le relative azioni sono segnato da un accadimento scenico, sia esso un cambio d’abito – come nel caso del mantello nero e il capello per sottolineare la comparsa di Alan Campbell-, sia il gesto del colore rosso che l’attore si spalmerà sul viso dopo il suicidio di Sibilla, il quale segnerà il declino dell’animo di Dorian.

 


Si svelano i sentimenti di tutti i personaggi, ognuno con il suo bagaglio di vita; l’attore fa da guida e fornisce spunti di riflessione su un’opera che non vuole essere mai completamente afferrata. Questo è un percorso di trasformazione per Dorian che perderà la sua anima da principe gentile, ma non potrà dimenticare i suoi peccati che andranno a mutare il ritratto che Basil aveva fatto di lui. Il candido ritratto di Dorian che l’attore aveva disegnato sull’album all’inizio dello spettacolo, cambia sotto i nostri occhi. Durante la narrazione vengono aggiunti colori e segni, ma proprio quando lui racconta, mostrando a Basil l’orribile segreto che il suo ritratto nasconde, straccia il disegno e svela un volto deformato dai tratti espressionisti.

La narrazione è accompagnata dalle note di Schubert che segnano i punti salienti della narrazione, come la morte della giovane Sibilla o del principe buono Basil. Il pubblico si sente preso per mano e segue la storia di un ragazzo terrorizzato dalla paura di invecchiare, tanto da desiderare che un ritratto accumuli su di sé i segni del passare del tempo. Ascolta il racconto di un’anima che si vende per garantirsi il potere della bellezza, di un’influenza demoniaca, guarda da lontano l’innocenza persa e la perdizione incombere. Le pagine dell’autore irlandese si schiudono rivelando la vita in tutta la sua sorprendente crudele bellezza.
Visto al Teatro Lizza sala Cavallerizza di Milano giovedì 23 marzo 2017.

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