Recensioni — 27/10/2017 at 01:43

Le “Ombre folli” che appaiono o spariscono come per magia

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MILANO – Con un gesto rapido, quasi violento, vengono scoperchiate le due sedie sulla sinistra del palco rimaste velate fino a quel momento come se si trattasse di oggetti misteriosi, di presenze da nascondere. Si fa strada allora d’un colpo la vita quotidiana, regolare e regolata da amore sublimato e divieti di una strana coppia, combinazione tra uno scapolo blandamente etero e un travestito di vecchia militanza. Il primo riporta le fasi che hanno portato all’unione e alla reciproca dipendenza traducendo fedelmente gli elementi essenziali dal dialetto palermitano in cui si esprime il secondo. E sembrano sparire così le “Ombre folli” che hanno popolato la prima parte e che danno anche il titolo al nuovo spettacolo di Enzo Vetrano e Stefano Randisi dal testo di Franco Scaldati, in anteprima nazionale al Teatro Filodrammatici di Milano per “Lecite Visioni”, rassegna di teatro a tematiche omosessuali diretta da Mario Cervio Gualersi.

 

Le Ombre folli si concretizzano all’inizio come parole calate da Stefano Randisi su un foglio di una macchina da scrivere, sono pensieri suggeriti dalle tante immagini evocate: descrivono una persona defunta e composta sul letto di morte, atti di sodomia, incredibili firmamenti di stelle, prestazioni sessuali “accurate”. Le Ombre folli appaiono o spariscono come per magia, e non ci potrebbe essere altro termine che questo per definire l’arte di Enzo Vetrano, Cotrone sempre e non solo nel suo memorabile personaggio dei “Giganti della montagna” di Pirandello, elegante in ogni movenza pur in parrucca rossa e labbra “pittate”.

Luci soffuse, dieci lumini sul palcoscenico, rendono la poesia del testo di Scaldati (l’autore scomparso nel 2013) qualcosa di sacro, una rivelazione di territori sommersi, anche quando non vengono lesinati particolari scabrosi che non diventano mai scene complete, ma appunto restano frammenti ritagliati, ingranditi per un momento dalle parole. Nella coppia di conviventi-ombre c’è un’eco dei duetti di Beckett, i tratti dell’amore/odio costruito nello stillicidio del quotidiano, che la canzone finale “Bugiardo e incosciente” (legata alla voce di Mina, ma qui nella versione di Johnny Dorelli) esplicita con troppa, forse banale, evidenza in uno spettacolo – parte di una trilogia con “Assassina” e “Totò e Vicè” – che invece è giocato tutto, anche nelle strappate realistiche, sui toni musicali della poesia.

 

 

Ombre folli. Visto al Teatro Filodrammatici di Milano il 25 ottobre 2017

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