Recensioni — 27/02/2017 at 07:38

Scandalo: la pietra d’inciampo schnitzleriana di Franco Però

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MILANO – La Sala Shakespeare del Teatro Elfo Puccini è affollata di spettatori in attesa di assistere allo spettacolo “Scandalo” di Franco Però. Das Vermachtnis (1898) è il titolo originale della commedia di Arthur Schnitzler rappresentata per la prima volta in Italia nel 2015 dal regista stesso insieme alla Compagnia del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia. La scena si compone di due grandi finestroni alle pareti di una camera da letto rinascimentale, uno spogliatoio, un armadio e uno scrittoio sulla destra, un tavolo a sinistra e un divano dormeuse al centro della stanza. La disposizione degli elementi scenici è inscritta da Antonio Fiorentino in un’area ridimensionata rispetto al palcoscenico. Le uscite e le entrate dei personaggi si prolungano in questo spazio ricavato ai lati del palco, lungo i teli neri delle due quinte, dove gli attori s’intrattengono tra il desiderio, l’inganno, l’illusione, lo scandalo, per guardare e commentare l’accaduto. Hugo (Filippo Borghi), figlio della famiglia alto borghese Losatti di Vienna, è caduto da cavallo. Prima di morire confessa di avere un figlio di ormai cinque anni da una donna di ceto basso, Toni (Astrid Meloni), e chiede che venga accolto dalla famiglia insieme al piccolo Franz.

L’occhio registico di Franco Però mette in luce la denuncia sociale verso il conformismo della borghesia mitteleuropea di fine secolo, attraverso una trascinante manovra spettacolare: le due grandi finestre spalancate nella prima scena, poi socchiuse, richiuse e infine fatte sparire al secondo atto, scandiscono non solo il tempo biologico ed emotivo ma anche gli eventi di tutto lo spettacolo come in un grande sonno. Un sonno disturbato, quello di Scandalo, in cui si mescola il ricordo di zia Emma (Stefania Rocca) per l’amore perduto dal quale «sono passati dodici anni», verso un chiaro tentativo a voler dimenticare e l’impossibilità stessa di farlo; la figura di donna, moglie e madre Betty (interpretata dall’attrice e doppiatrice Ester Galazzi) che s’impadronisce delle colpe altrui per espiarle, al contrario dell’uomo, marito e padre Adolf Losetti (Franco Castellano) una figura quasi ingombrante i cui gesti e le cui parole frenetiche e invasive riflettono la paura dell’altro. Lo straniero che spesso indossa gli abiti dell’uomo, altre volte del sentimento, di rado dell’oblio.

 

 

Eppure Adolf non riesce a godere delle gioie presenti, non accetta il giudizio negativo degli amici che gli hanno voltato le spalle, ma così ora fa lui al pubblico giustificando gli «incidenti». La recitazione degli attori è orientata al messaggio piuttosto che alla reviviscenza degli eventi cosicché si giunge spesso all’esasperazione senza arrivare mai alla disperazione. Non c’è traccia di sentimenti relegati al “qui ed ora”, il tempo scenico procede a ritmi letterari, quelli del testo del 1898, restituiti alla penna di Arthur Schnitzler. Lo spettacolo precipita, battuta dopo battuta, verso una grande morale segnata dalla morte del piccolo Franz. Le luci si abbassano ed anche l’orgoglio della famiglia, la disapprovazione diventa sconfitta. Crolla quel ponte su cui viaggiavano certe tutte le preoccupazioni e i pregiudizi sociali. La scenografia sparisce e sparisce anche Toni. Non resta che chiudere il sipario e svegliarsi, finalmente, da questo lungo sonno, in cui «avremmo dovuto soltanto essere buoni».

 

 

Scandalo

di Arthur Schnitzler, regia di Franco Però, scene di Antonio Fiorentino, costumi di Andrea Viotti, musiche di Antonio Di Pofi, luci di Pasquale Mari, con Stefania Rocca e Franco Castellano e con Astrid Menoli e la Compagnia del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia: Filippo Borghi, Adriano Braidotti, Federica De Benedettis, Ester Galeatti, Andrea Germani, Lara Komar, Riccardo Maranzana e Alessio Bernardi, Leon Kelmendi. Coproduzione Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Artisti Riuniti e Mittelfest 2015
Visto al Teatro Elfo Puccini di Milano il 18 febbraio 2017

 

Quando l’odio diventa codardo, se ne va mascherato in società e si fa chiamare giustizia.
Arthur Schnitzler

 

 

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