Recensioni — 20/12/2017 at 19:16

Copenaghen: i premi Nobel Bohr e Heisenberg rivivono nell’impeccabile messa in scena di Orsini

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PESARO – Un testo straordinario, messa in scena impeccabile, interpretazione e regia perfette. Copenaghen è il nuovo allestimento proposto dalla Compagnia Orsini, a diciotto anni dalla prima versione italiana, del dramma attualissimo del britannico Michael Frayn. Ancora una volta l’ensamble teatrale stupisce per intelligenza e capacità di selezione, per lo sguardo cólto sul mondo e la profondità delle tematiche analizzate. Umberto Orsini, Massimo Popolizio e Giuliana Lojodice con la regia di Mauro Avogadro ridanno dunque vita ai protagonisti del famoso incontro di Copenaghen: i fisici, entrambi premi Nobel, Niels Bohr e Werner Heisenberg, e insieme a loro la moglie del primo, Margrethe. Immersi in uno spazio in cui prevale il colore nero a sottolineare la dimensione del ricordo – una serie di lavagne coperte di formule a fare da sfondo, una gradinata simbolica, alcune sedie – i tre ricostruiscono avvenimenti del passato legato a quando erano ancora vivi. Il loro tentativo è di far luce su quanto accadde nel 1941 in una Copenaghen occupata dai nazisti, quando in modo del tutto sorprendente il fisico tedesco Heisenberg fece visita al suo vecchio maestro Bohr.

 

COPENAGHEN di M. Frayn foto Marco Caselli Nirmal

Entrambi coinvolti nella ricerca scientifica ed entrambi vicini al traguardo che in altro contesto avrebbe portato al confezionamento della prima bomba atomica, ebbero una conversazione nel giardino della casa di Bohr, il cui contenuto rimane tutt’ora un mistero che la Storia ha tentato di risolvere avanzando diverse ipotesi. Il testo di Frayn è imperniato sulla ricerca delle ragioni che condussero Heisenberg a Copenaghen. Sono tre le ipotesi vagliate. Heisenberg era a capo del programma nucleare militare tedesco: voleva forse offrire a Bohr, ebreo per parte di madre, l’appoggio politico della Gestapo in cambio di qualche informazione su quello che stava succedendo in Inghilterra e negli Stati Uniti nell’ambito della stessa ricerca? Intendeva forse, invece, aggiornare Bohr sullo status della ricerca tedesca, perché potesse darne notizia ai colleghi scienziati avversari, di cui Heisenberg ignorava i risultati conseguiti? O forse più semplicemente, tormentato da sentimenti contraddittori – l’amore per la propria patria e il timore delle possibili conseguenze del suo programma scientifico – era alla ricerca di una qualche assoluzione da parte del suo mentore che anteponesse a ogni altra valutazione la necessità di una scienza assolutamente libera da scrupoli d’ordine morale?

 

Popolizio Orsini Lojodice Foto Marco Caselli Nirmal

Il dramma di Frayn non fornisce ovviamente una risposta univoca, ma confronta linee di pensiero che solo molto riduttivamente potrebbero essere ricondotte a contrapposizione tra visione pacifista di Bohr e visione bellicista di Heisenberg. In realtà emergono con finezza psicologica i ritratti di due uomini geniali, segnati dalle esperienze dolorose della storia e delle vite vissute, tormentati dai dubbi l’uno sul piano scientifico e l’altro su di un fronte più familiare e privato. E tra loro si staglia, con il ruolo di testimone critico e di coro, la straordinaria figura di Margrethe, madre dei sei figli di Bohr e sua assistente scientifica, incredibile esempio di rigore e coerenza. Nel dramma teatrale le diverse ipotesi vengono enunciate una dopo l’altra e l’assenza di risposte assolute diventa metafora di quel Principio di Indeterminazione e di Complementarietà, messo a punto da Heisenberg, in base al quale sembra impossibile arrivare a una sola verità. I piani temporali si sovrappongono, le questioni poste dai protagonisti assumono universalità di significato, squarciano il velo che nasconde quanto accade anche nel nostro quotidiano. Gli interrogativi di allora sono gli stessi di oggi e Copenaghen ci obbliga a riflettere.

Solo una grande interpretazione come quella di Orsini, Popolizio e Lojodice poteva mirabilmente restituire lo spessore del dramma di Frayn, interamente costruito sulla parola e spesso definito come un’opera storica scientifica. E molto di scienza si parla in Copenaghen, ma quando discutono di teorie della fisica Bohr/Orsini e Heisenberg/Popolizio volutamente accelerano il flusso verbale: per chi ascolta, non è necessario capire lo sviluppo di un’equazione – anche se l’esemplificazione proposta a un certo punto da Bohr diviene illuminante – quanto cogliere la contrapposizione di due personalità e il dilemma morale che potentemente si manifesta nello scambio tra i due grandi fisici.

Copenaghen è grazie alla Compagnia Orsini puro teatro di grande recitazione, con protagonisti assoluti padroni del palcoscenico che si muovono perfetti, senza mai una caduta di tensione. Esperienza imperdibile, oggetto di una lunghissima tournée che si concluderà a fine maggio e che include una serie di sedi prestigiose, tra le quali il LAC di Lugano.

 

Visto al Teatro Rossini di Pesaro il 17 dicembre 2017

 

di Michael Frayn
con Umberto Orsini, Massimo Popolizio
e con Giuliana Lojodice
regia Mauro Avogadro

produzione Compagnia Umberto Orsini, Teatro di Roma – Teatro Nazionale
in coproduzione con CSS Teatro Stabile di Innovazione del Friuli Venezia Giulia
si ringrazia Emilia Romagna Teatro Fondazione

 

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