Festival(s) — 16/06/2014 at 14:08

Eppur si muove qualcosa sotto la cenere. A Sarzana compagnie e critica insieme

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SARZANA – Fare della propria debolezza una fortezza. Essere piccoli ma non per questo sentirsi soli. Così nasce la giornata del 14 giugno (c’era anche l’esordio mondiale dell’Italia) nella quale Tilt, la rete delle compagnie liguri, per l’occasione si era unita a Nin, la stagione “di scambi” sarzanese organizzata da Ordine Sparso. Tante teste pensanti, un po’ d’anarchia che non guasta mai, molte idee. Metti anche, nel calderone delle proposte, Rete Critica, l’associazione attiva da tre anni di giornalisti e blogger che scrivono di teatro sul web, ed il piatto è servito tra i tuoni, i fulmini e la grandine da scenario apocalittico che un temporale caraibico, aveva deciso di donare alle antiche mura del Castello dalle torri basse e gravide, sprofondato in un fossato senza più i coccodrilli di Peter Pan.

Fruttuosa semina nel convegno moderato da Anna Maria Monteverdi (Hystrio) al quale hanno partecipato da una parte i critici teatrali, Rossella Menna ( Doppio Zero, VolterraTeatro), Laura Santini (Mente Locale), Renzia D’Incà  dall’altra una ventina di compagnie liguri (Antonella Questa, la Scuola di circo di Sarzana, l’organizzatore della giornata Giovanni Berretta, il Teatro delle Formiche, Toni Garbini, l’Associazione Rasoterra, Renato Bandoli, Andrea Cerri de Gli Scarti di La Spezia, Matteo Romoli e Caterina Simonelli della compagnia IF Prana di Viareggio, Danilo Spadoni, la Compagnia degli Evasi, Luigi Marangoni dei Dinamici Teatri) ad interfacciarsi sui problemi non solo della scena ma anche del retrobottega, del dietro le quinte.

L'organizzatore della giornata Giovanni Berretta
L’organizzatore della giornata Giovanni Berretta

Non la solita lamentazione né lo stesso piagnisteo e nemmeno l’egocentrica esaltazione del proprio curriculum artistico, ma uno spazio franco dove guardarsi negli occhi e finalmente capirsi, tendere quel filo comune tra chi fa teatro e chi lo vede (e non lo giudica) e ne scrive, cercando un terreno che esca fuori dall’ormai inutile recensione o dualismo e dicotomia buono/non buono, bello/brutto, piaciuto/non piaciuto e cercando di immaginare, o di ritornare ad un vecchio-nuovo modo di collaborazione.
La provocazione lanciata dal banco (che non è saltato) con “Adotta un critico” voleva proprio rimettere nel processo produttivo un occhio esterno e privilegiato, un’attenzione con strumenti, all’interno della creazione senza esserne esclusi ed essere chiamati in causa per redigere e digerire segni nella fase finale ed ultima, nel tritacarne della prima messinscena. Accorciare le distanze, creare passaggi, osmosi, vicinanze, senza per questo perdere obiettività, onestà intellettuale.

Toni Garbini
Toni Garbini

Tra le quattro pillole, pezzi short teatrali, abbiamo scelto l’intenso Toni Garbini del Teatro Ocra che, microfono alla mano come se fosse il presentatore di se stesso, il predicatore, ci introduce nel mondo travagliato e trasformato della schizofrenia. Un racconto immaginifico come pilotato da forza interiori invisibili a noi comuni mortali, dove la sofferenza si lega inscindibile alla gioia della visione, alla presa di coscienza della profonda diversità, e dipendenza, degli esseri umani, del bisogno di contatto come della necessità di appartarsi con le proprie idee. Garbini è profetico e tenace ed il microfono in mano, elemento che sempre allontana e crea barriere e filtro, in teatro solitamente rende inverosimile la verità finta che dal palco si cerca di espandere giù in platea, qui diventa volano e trampolino per una profonda messa in discussione e ricerca di partecipazione, confessione e monito, arringa e comizio di polso, fiero, senza mai piegare la testa al destino.

IF Prana
IF Prana

Ancora disagio in “R…Esistere” realizzato da IF Prana (Matteo Romoli era nel “Romeo e Giulietta” di Federico Tiezzi, nel ruolo principale, come ne i “Demoni” di Peter Stein) con la semplicità di due sgabelli-scalette, i due protagonisti si trovano sullo stesso cornicione con la medesima voglia di lanciarsi nel vuoto e farla finita. Con una serie di buio a fare da stacchetto tra i vari quadri, Romoli e Caterina Simonelli, anche regista, riescono ora a sottolineare il dramma esistenziale con leggerezza, adesso ad impostare l’ironia necessaria per poter ripensare alla cause che li hanno portati lì, in una continua altalena, meglio montagne russe, di sentimenti e risentimenti, di azione e staticità, che ben fotografano l’esistenza con i suoi moti di riso come con i suoi sommovimenti di tragedia.

Luigi Marangoni - Foto di Fernanda Bareggi
Luigi Marangoni – Foto di Fernanda Bareggi

Se in “Odissea con dj” era il pubblico a bendarsi, qui in “Alone” (che ha la doppia valenza linguistica, in inglese “solo”, in italiano “chiazza”, “macchia” ma anche “cerchio di luce”), Luigi Marangoni ci conduce, con la sua schiettezza e chiarezza, ma anche comunicatività, dolcezza e cura, dentro le pieghe di una cecità (non è Saramago) che arriva a piccoli passi a prendersi tutto lo shine, l’aura di colore che sta attorno alle cose. La malattia che incede e rende scuro ciò che prima era visibile. E Marangoni con i piccoli gesti della vista quotidiana-casalinga, che esplodono nel diventare metafora soprattutto nel “lavare i piatti”, quel togliere lo sporco che occlude la vista ma che è anche la distrazione degli altri, il velo di pietismo o, al contrario, il suo opposto, il pensare alla mala fede ed all’impostore (l’audio con Giletti è emblematico: a “L’Arena” si parla di falsi invalidi), scioglie l’imbarazzo del sentirsi dentro il recinto dell’handicap (retinite pigmentosa) senza riuscire ad uscirne se non con le proprie forze.

Luigi Marangoni - Foto di Marco Visconti
Luigi Marangoni – Foto di Marco Visconti

Togliere l’alone di incrostazioni. Ci viene in mente la potenza di Gianfranco Berardi, la testardaggine di Filippo Timi o la piece “Patres” della compagnia calabrese Scenari Visibili. Si vede molto di più di quello che c’è non potendolo fare. E’ un rimettersi in gioco, un provarci: quando il teatro si fa consegna di valori e portatore di nuove energie.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio, non già perché con quattr’occhi forse si vede di più. Con te le ho scese perché sapevo che di noi due le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue”. (Eugenio Montale)

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