Recensioni — 15/12/2016 at 18:37

La “confessione” nel riconoscere un amore taciuto: Saverio La Ruina è “masculo e fiammina”

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MILANO – Quelle che Saverio La Ruina racconta sono storie segrete, oscurate o oscure, di violenze sui molti, anche se è solo in scena come in “Italianesi”, o nel privato di una coppia come nel recente “Polvere”. Storie segrete che il teatro è chiamato a svelare, a mettere in luce potente ma discreta, mai gridata. In questo nuovo “Masculo e Fiammina”, Maschio e Femmina, prodotto da Scena Verticale, la storia segreta che sulla scena veniamo a scoprire è quella di un doppio amore. Il primo che Peppino, questo il nome dell’uomo, si decide a rivelare alla madre, non più in vita e dunque davanti alla tomba di lei, è quello per i maschi non per le femmine, amore che si è precisato nella sua precoce propensione omosessuale, attraverso episodi circostanziati, atti fugaci, e poi in relazioni più o meno fortunate, anche tragiche, ma sempre inesorabilmente più che felicemente orientate verso rapporti da “masculo a masculo”. E’ liberatorio il momento in cui – davanti al ritratto della madre, nel cimitero mezzo sepolto dalla neve – l’uomo dichiara la sua natura, senza più doversi nascondere o sfuggire ad attacchi e derisioni. Ma come è sicuro della sua propria natura, altrettanto lo è del fatto che la donna possa aver sempre saputo e taciuto per tutta la vita il segreto che lui non le ha mai voluto o potuto raccontare. Il riconoscere finalmente questa muta e mutua complicità permette a Peppino-Saverio la rivelazione di questo altro grande amore tra lui e la madre, mai vissuto pienamente, quasi fosse anch’esso un segreto da custodire, per pudore, per mancanza di coraggio, per paura della tenerezza, della confidenza.

In dialetto calabrese (che lui con sapienza e amore per la parola rende quasi del tutto comprensibile) dall’inizio alla fine, Saverio La Ruina dialoga fittamente, amorevolmente con l’assente come fosse lì accanto, con una precisione e leggerezza di gesti (come si strofina le gambe per il freddo, come pulisce dalla neve il ritratto, come mima l’eventuale incontro tra San Pietro e il loro parroco presuntuoso), nell’alludere anche ai fatti della quotidianità, ai rapporti con parenti vari e con figure del paese di cui con affettuoso umorismo mette al corrente la madre, colmando quei tanti momenti di silenzio che ci sono stati tra loro. Il rigore del racconto pur nella sua profondità si colora di piccole battute, mai compiaciute, di descrizioni di volti e di corpi in cui la grande umanità dell’attore è davvero magistrale, rendendolo unico nel panorama italiano degli storytellers. E una volta rivelato il suo segreto di ragazzo, il figlio uomo scende davvero dentro di sé per ammettere e condividere con colei che lo ha sicuramente amato anche la sua solitudine.

Visto al Piccolo Teatro Studio Melato di Milano il 13 dicembre 2016

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