Recensioni — 15/11/2017 at 23:51

Un kolossal “Il nome della rosa” restituito a Umberto Eco

di
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“Ho l’impressione che l’inferno

sia il paradiso guardato

dall’altra parte”

(Umberto Eco, Il nome della rosa, 1980)

 

MILANO – Il best seller del semiologo Umberto Eco diviene testo teatrale per mano di Stefano Massini con la regia e il riadattamento di Leo Muscato. Circa seicento pagine di romanzo trasposte in due ore e mezzo di spettacolo. Adso da Melk è la voce narrante di visioni, rovine, trame e delitti che hanno colpito l’abbazia dei monaci Benedettini quando lui era ancora un novizio. La sua presenza, come quella del narratore onnisciente nel romanzo, sbuca dalle quinte e passeggia sulla scena come un fantasma. La Sala Grande del Teatro Franco Parenti di Milano si presta all’allestimento scenografico scelto: l’interno di un’abbazia, due rampe di scale laterali che conducono alle due quinte accessibili da vere e proprie porte, scaffali vuoti che, all’occorrenza, si trasformano in librerie, mensole o pareti in muratura. Una soluzione resa possibile solo mediante un’istallazione video proiettata su tutta l’impalcatura architettonica. Nel sottoscala s’intravedono cancelli e vetrate che danno ampiezza al palcoscenico, trasformandolo in un vero e proprio monumento clericale del 1327. I tredici attori nei panni di una quarantina di personaggi agiscono in ogni angolo di questa sensazionale scenografia.

 

Sul proscenio, Adso da Melk qualche decennio più tardi, ormai anziano, comincia a narrare il suo arrivo presso l’abbazia insieme al maestro Guglielmo da Baskerville delegato dalla curia a sbrogliare le fila di una serie di delitti avvenuti in quel luogo. La trama e il genere sono quelli del romanzo, un giallo storico reso tale dall’intonazione e dallo stile delle battute prettamente letterari. La rifinitura ironica dell’intero testo teatrale restituisce leggerezza alle vicende, al contrario, cariche di sangue e intrighi che nel Medioevo hanno macchiato la storia del Cristianesimo. Da un lato la visione concreta del mondo, dall’altro lo spettro dell’Anticristo. Paure che divengono verità. “La verità è un grande problema” – insegna Frate Guglielmo al suo discepolo Adso – “solo i folli e i bambini hanno la verità”.

La ricerca del Manoscritto cui i due protagonisti riescono ad arrivare mediante congetture logiche, è quella del Secondo libro della Poetica di Aristotele che esalta la commedia e il riso, considerati dall’ordine, strumenti del demonio. Questa interessante scoperta conduce poi Adso ad un’altra, ancora più bella, quella di una figura femminile con cui compie atti proibiti e di cui non ricorda il nome, il nome di quella rosa. Le sette scene, corrispondenti ai giorni entro cui Umberto Eco ha fatto ruotare le vicende, sono ricche di fede, odio, potere, penitenza, morte grazie ad un’interpretazione attoriale autentica.  Tra questi Eugenio Allegri, Giovanni Anzaldo, Luigi Diverti, Luca Lazzareschi, Bob Marchese, hanno dato vita ad un capolavoro degno del titolo che porta.

 

Il nome della rosa

di Umberto Eco

versione teatrale di Stefano Massini

regia e adattamento Leo Muscato

scene Margherita Palli, costumi Silvia Aymonino, luci Alessandro Verazzi, musiche Daniele D’Angelo, video Fabio Massimo Iaquone, Luca Attilii

 

 

con Eugenio Allegri, Giovanni Anzaldo, Giulio Baraldi, Luigi Diberti, Marco Gobetti, Luca Lazzareschi, Bob Marchese, Daniele Marmi, Mauro Parrinello, Alfonso Postiglione, Arianna Primavera, Franco Ravera, Marco Zannoni

 

produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale Teatro Stabile di Genova / Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale.

 

 

Visto al Teatro Franco Parenti di Milano il 12 novembre 2017

In tournée . A Bolzano nella stagione del Teatro Stabile di Bolzano dall’11 al 14 gennaio 2018

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