Recensioni — 14/09/2022 at 11:19

“Gola e altri pezzi brevi”: Valerio Aprea interpreta i monologhi di Mattia Torre

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RUMOR(S)CENA – JERZU (Nuoro) – Fotografia del Belpaese tra vizi e stravaganze di questa “terra di santi, poeti, navigatori” con Gola e altri pezzi brevi di Mattia Torre nell’interpretazione di Valerio Aprea (produzione Nutrimenti Terrestri) in cartellone nella Cantina Antichi Poderi di Jerzu per la XXIII edizione del Festival dei Tacchi / Ogliastra Teatro organizzato dal Cada Die Teatro. Tre brevi monologhi – Colpa di un altro, Yes I Can e Gola – tratti da In mezzo al mare. Sette atti comici, il volume pubblicato da Mondadori (2019) e uno stralcio da quel primo testo per voce sola, scritto nel 2003, che dà il titolo alla raccolta uscita nel 2012 per Dalai Editore (poi in una nuova versione ampliata per Mondadori), proposta in forma di audiolibro per Emons Edizioni (2019). Sul palco un attore poliedrico e raffinato come Valerio Aprea, all’attivo un’intensa carriera fra teatro e cinema, dagli esordi negli Anni Novanta con Federico Tiezzi in Ebdòmero di Giorgio De Chirico, e poi l’Edipo a Colono e Le Trachinie di Sofocle con la regia di Antonio Pierfederici, testi contemporanei come Eredità di Renzo Paris e classici del Novecento come La cantatrice calva di Eugène Ionesco con la regia Daniele Pecci, accanto ai capolavori shakespeariani, fino al successo di Boris (la serie e il film), commedie come Smetto quando voglio di Sydney Sibilia (e relativi sequel e midquel) e le apparizioni televisive, da PropagandaLive a Parla con me di Serena Dandini. L’artista romano presta volto e voce ai personaggi tragicomici nati dalla fantasia di Mattia Torre, creature grottesche ma anche profondamente umane, in uno spietato affresco dell’Italia di ieri e di oggi: Gola e altri pezzi brevi è anche un omaggio al drammaturgo, sceneggiatore e regista, uno degli autori più interessanti del panorama italiano, prematuramente scomparso nell’estate di tre anni fa. Il talento istrionico di Valerio Aprea, la sua capacità camaleontica, la bravura nell’incarnare la varie “maschere” che emergono nel racconto con pochi e sapienti tratti, uno sguardo, un gesto, un accento che rivelano un carattere, una natura più o meno feroce o inquieta da cittadini metropolitani, trasforma una “lettura” in evento teatrale, in cui si materializzano abitanti delle periferie o frequentatori del bel mondo, bravi ragazzi e genti di malaffare, abili mestatori e ingenui parvenus, femmes fatales e coscienziose regine dei fornelli, reietti e falliti.

Un flusso di coscienza, tra ricordi che riaffiorano e una consapevolezza confusa dell’esistenza, dove labili confini separano il vero dal falso e perfino l’amore può rivelarsi un’illusione o un miraggio, nel frammentario racconto, quasi una confessione, del protagonista di In mezzo al mare, per cui il principio dell’“ignoranza” socratica, portato all’estremo, genera dubbi e incertezze, un senso di vertigine e di smarrimento davanti alla complessità della vita: il monologo, messo in scena da Valerio Aprea con la regia dello stesso Mattia Torre agli inizi del Duemila, e di cui ripropone un breve estratto, conserva la sua carica ironica e insieme vagamente surreale, perfino un po’ urticante con la cifra caustica e irriverente del drammaturgo, la sua capacità di vedere oltre la superficie delle cose, di cogliere le contraddizioni e i sottintesi per portare alla luce le verità nascoste.

Colpa di un altro racconta l’attitudine tutta italiana nell’individuare le responsabilità altrui, nel sottolineare imprecisioni e grossolani errori negli interventi precedenti, come singolare captatio benevolentiae nei confronti del cliente, vittima di raggiri e inganni, che si risolve poi in un proporzionale incremento del prezzo di qual si voglia azione volta a riparare i danni, si tratti di lavori idraulici o meccanici o cure dentistiche. Un “assioma” più che mai valido in ambito politico, dove gli eletti ereditano inevitabilmente situazioni catastrofiche, opere pubbliche incompiute o mal realizzate (perfino mai iniziate) e disavanzi di bilancio, cui si impegneranno a porre rimedio, certamente, ma senza dimenticare di indicare nei disastri provocati dai precessori le cause di tutti i mali.

Valerio Aprea foto di Gianfilippo Masserano

La sfrenata ambizione e la sete di ricchezza e potere, in una civiltà fondata sull’apparire, sull’avere più che sull’essere, affiora nei progetti e nei sogni di grandezza del protagonista di Yes I Can, in una moderna e paradossale variazione sul tema del “superuomo nietzschiano” in chiave ironica tra desiderio di onnipotenza e esibizionismo, in una istantanea di una certa Italia “cafona” e arrogante, tra edonismo e cattivo gusto imperante, con un amaro finale.

La scrittura sulfurea e immaginifica di Mattia Torre tocca punte vertiginose di satira feroce e humour nero in Gola, in cui la fame atavica e il ricordo delle privazioni della guerra trovano una ingloriosa catarsi nella tradizione degli interminabili banchetti in occasione di feste, matrimoni e battesimi, perfino funerali, in una sorta di insaziabile smania quasi a voler colmare con enormi quantità di cibo il vuoto della propria anima. Un rito collettivo per esorcizzare fantasmi di passate carestie con pietanze sempre più ricche e elaborate, sulla base di ricette tramandate di madre in figlia o reinventate con estro e fantasia, in una sorta di gara in cui si compirebbe qualunque sacrificio pur di fare bella figura davanti agli ospiti: una indagine sulle radici antropologiche e culturali di una voracità che non sembra avere eguali tra gli altri popoli del pianeta, dove l’autore mette l’accento sull’ossessione per la buona cucina, forse come metafora di una più generale e diffusa ingordigia cui fanno pendant certe fin troppo frequenti e pericolose reazioni “di pancia” che sfuggono ogni principio razionale.

Valerio Aprea foto di Gianfilippo Masserano

Un mare di applausi, al termine di ogni lettura e dopo il finale, con un piccolo bis, come un regalo che riporta ai tempi dell’adolescenza, della ribellione, tra piccoli segreti e spericolate avventure con Traffic, contenuto in A questo poi ci pensiamo, antologia di racconti, monologhi e dialoghi, appunti di Mattia Torre pubblicata da Mondadori nel 2021, che testimoniano la ricca inventiva dell’autore e la sua attenta e acuta osservazione della realtà.

Gola e altri pezzi brevi rappresenta una preziosa occasione per (ri)scoprire i testi di Mattia Torre, oltre ad acuire il rimpianto per la prematura uscita di scena di uno degli autori di punta del teatro, della televisione e del cinema: sua è la sceneggiatura di Figli di Giuseppe Bonito, con Paola Cortellesi e Valerio Mastandrea (Premio David di Donatello per la sceneggiatura e Nastro d’argento per la miglior commedia, oltre a varie nominations e premi per gli interpreti), da cui sono tratte le musiche di Giuliano Taviani e Carmelo Travia che fanno da colonna sonora allo spettacolo, evocando atmosfere e sensazioni, quasi a scandire il ritmo di parole e pensieri. Tre folgoranti monologhi, anzi quattro (oltre al bis), per una narrazione iperrealistica, nei toni caricaturali della satira, sulle manie e le idiosincrasie, le cattive abitudini, le debolezze ma anche le insospettabili risorse, l’insofferenza per le regole e l’individualismo, la capacità di adattarsi e la lotta per la sopravvivenza nelle moderne metropoli, i riti e i miti, l’immaginario e le paure degli italiani e delle italiane nel Terzo Millennio.

Visto il 7 agosto 2022 nella Cantina Antichi Poderi di Jerzu

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