Recensioni — 01/11/2018 at 10:28

“La Divina Commediola”di Giobbe Covatta: una lezione di civiltà tra ironia e numeri

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RUMORS(C)ENA – LOVE SHARING FESTIVAL  – CAGLIARI – Una lavagna, un leggio, uno sgabello: bastano pochi elementi essenziali al “professor” Giobbe Covatta per dare inizio alla sua “lezione”: «Sono un comico esordiente» si presenta così, e sottolinea che poiché «quelli che non sanno insegnano… mi sono messo ad insegnare». Un proverbio antico, in continuo crescendo capace di riservare un ruolo anche ai nullafacenti, quelli che per non aver né arte né parte «fanno politica». Sintesi fulminante e ironica della meritocrazia negata, o meglio alla rovescia, che caratterizza il Belpaese, preludio alla lettura de “La Divina Commediola” scritta da un “cugino” di Dante Alighieri, tal Ciro (Alighieri) da Napoli. A far da guida un novello Virgilio, un ragazzo dalla pelle scura con indosso una corta tunica in grado di condurre l’autore – e con lui l’interprete e il pubblico – tra i gironi infernali di un intero continente attraverso guerre e siccità, povertà e diritti negati.

Giobbe Covatta

Nello spettacolo – un coinvolgente e divertente one man show – nel cartellone del Festival “Love Sharing” 2018 firmato Theandric Teatro Nonviolento , diretto da Maria Virginia Siriu, e dedicato alle Migrazioni” , Giobbe Covatta (di ritorno in città dopo il successo al Karel Music Expo 2017 con “L’evoluzione arranca” insieme con Mario Tozzi), conquista fin dalle prime battute il pubblico della serata “sold out” all’Auditorium Comunale di Cagliari, analizzando il cervello maschile e femminile. Tra ghiandole dal nome “emblematico” e aree dedicate a funzioni specifiche – come la sfera erotica, con profonde differenze tra i due sessi, causa forse della distanza siderale tra il “pensare” e il fare – c’è anche una zona deputata alla reiterazione del fatidico “te l’avevo detto”. E poi la componente “materna” con specifiche declinazioni geografiche e varianti culturali: il comico partenopeo mette in luce le origini “morfologiche” e fisiologiche delle incomprensioni all’interno della coppia e del rapporto tra genitori e figli.

Una lezione di anatomia “comportamentale” in cui la forma dell’organo che contraddistingue(rebbe) tra tutte la specie umana rispecchia le attitudini e le mancanze, a cominciare dalla capacità di verbalizzazione, precoce parrebbe nei bambini, più tardiva nelle bambine, che però si rifanno ampiamente perché una volta che hanno iniziato a parlare… non la finiscono più. Tra luoghi comuni e spunti umoristici di una sorta di captatio benevolentiae, l’artista indirizza il discorso sulla questione scottante e attuale delle moderne migrazioni di popoli, mettendo a confronto il punto di vista di coloro che hanno avuto la fortuna di nascere nel ricco Occidente e chi invece la sorte di vedere la luce, o meglio il buio, in regioni in cui la mortalità infantile è altissima e l’aspettativa di vita si aggira intorno ai 18 anni di età. Se la minaccia dell’uomo nero teneva desti (tra ansia e speranza) i cuccioli della specie a certe latitudini, altrove perfino la scuola e la sanità, per non dire dell’acqua potabile, appaiono come un miraggio.

 

Il poema dello (pseudo) Alighieri offre le parole chiave attraverso cui indagare le motivazioni che spingono migliaia di persone a lasciare la loro patria per inseguire il sogno di un futuro migliore, ma anche il lato oscuro di una civiltà come lo sfruttamento dei minori e la pedofilia (con il fenomeno fin troppo diffuso del turismo sessuale). Le rime s’intrecciano al diario dei “viaggi in Africa” dell’artista, da cui affiorano il profondo innamoramento e il desiderio di conoscere da vicino le molteplici sfaccettature di un continente immenso. Il sorriso di una bambina che gli ha rubato il cuore, l’incontro con tribù dalle singolari usanze ma anche le notti inquiete in riva a un lago tra gli ippopotami diventano materia di narrazione nei toni agrodolci della commedia ma, a dispetto dei voli pericolosi e delle varie peripezie, il sentimento dominante nell’artista e nei suoi strampalati compagni di avventure è ormai, irrimediabilmente, la “saudade”.

“La Divina Commediola” di quel tal Ciro Alighieri si chiude con l’inattesa scoperta che Caino non esiste, e gli abitatori di quell’inferno in terra sono le vittime – del colonialismo, dalla fame e della sete, delle tremende malattie che basterebbe poco a prevenire e curare, dell’ignoranza e – peggio ancora – della “nostra” indifferenza. Una lezione fondamentale – per imparare davvero a stare al mondo senza dimenticare che a dispetto del colore della pelle o degli occhi, ovvero di semplici variabili dell’aspetto esteriore facciamo tutti parte di un’unica razza – la razza umana.

Visto all’Auditorium Comunale di Cagliari al Festival Love Sharing il 23 ottobre 2018

 

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