Festival(s), Teatrorecensione — 18/08/2015 at 19:53

Sintesi e riflessione della Biennale Teatro 2015

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VENEZIA – Difficile sintetizzare l’esperienza della appena conclusa 43sima edizione della Biennale Teatro, si è trattato di un evento a 360 gradi, poiché oltre agli spettacoli, sono stati organizzati laboratori, incontri pubblici e presentazioni dei partecipanti. Sotto la regia del catalano Alex Rigola, responsabile dal 2010, il repertorio del festival ha coinvolto diversi paesi europei – Svizzera, Germania, Francia, Spagna, Belgio, Lituania e Italia – e ed uno latinoamericano, il Brasile.
Tra i vari meriti di questo festival, oltre all’offerta di un repertorio contemporaneo di qualità, sono da menzionare i laboratori che hanno consentito la formazione di una comunità educativa in tutti gli ambiti della creazione teatrale (drammaturgia, regia e recitazione) e della critica teatrale e della gestione dei social media. Senza dubbio è stata un’opportunità importante per incontrare persone da tutto il mondo che vivono e praticano teatro in maniera diversa. A questi si sono aggiunti gli incontri pubblici pomeridiani realizzati ogni giorno ed in cui il pubblico della Biennale ha potuto conoscere ed approfondire diversi temi con i maestri.

Christoph Marthaler - Das Weisse vom Ei / Une île flottante
Christoph Marthaler – Das Weisse vom Ei / Une île flottante

Particolare interesse ha suscitato la sezione Young italian Brunch, un piccolo assaggio della scena emergente italiana attraverso le performance di quattro tra le più stimolanti e originali compagnie del nostro Paese: il Collettivo Cinetico, la performer Helen Cerina e le compagnie Anagoor e Babilonia Teatri. Teatro di ricerca dove le proposte si incentravano prevalentemente nel problematizzare la realtà in cui viviamo. La particolarità dei loro progetti è il lavoro sperimentale incentrato sul corpo -con attori e non attori -, orientato ad attraversare i limiti dello spazio teatrale scoprendo le infinite possibilità dell’espressione artistica. Pensando di tracciare una visione panoramica degli spettacoli è da sottolineare che in questo repertorio, anche se eterogeneo, è stato possibile trovare alcuni punti di confluenza.
Un primo argomento è la questione dell’Identità, tema caro nel periodo in cui viviamo e che appare ripetutamente in maniera più o meno evidente negli spettacoli visti. Una riflessione ricade subito nel particolare stile di Christoph Marthaler: il regista svizzero ha aperto la Biennale 2015 con un’amara farsa sulla società europea e la sua sterile maschera delle convenzioni sociali. Un aisle flotante (approssimativamente tradotta come l’isola flottante) guarda con accutezza le dinamiche interne familiari e la rigidità delle apparenze. Con un accenno del suo stile drammaturgico musicale, una scenografia opulenta e una serie di oggetti che raffiguravano la freddezza dei comportamenti sociali, Marthaler spinge il pubblico ad una una riflessione sull’identità nascosta dove “niente e ciò che sembra”. Il regista quest’anno ha ricevuto il Leone d’Oro alla carriera.

Thomas Ostermeier - Die Ehe der Maria Braun
Thomas Ostermeier – Die Ehe der Maria Braun

Sulla stessa linea, Thomas Ostermeier configura un ritratto sulla vita contemporanea europea presentando Il matrimonio di Maria Braun (Die Ehe der Maria Braun); spettacolo basato su un film di R.W. Fassbinder. La storia si svolge all’interno di una società consumista dove il denaro genera come conseguenza lo sgretolamento delle ideologie e delle speranze umane. Il belga Jan Lauwers e la Needcompany, con lo stravagante The Blind Poet, metafora dell’Europa ibrida e delle sue radici, pongono un’altro sguardo sulle dinamiche sociali contemporanee. L’individuo è soggetto ad un continuo cambiamento; lo stato meticcio dell’ Europa si riflette anche nelle sue musiche, nelle sue lingue, nelle apparenze fisiche. La storia quindi emerge come risultato d’incroci di racconti, di colori e di lingue.
Riconoscimento può essere un’altra parola chiave: Antonio Latella ripensa ai momenti storici che hanno delineato l’identità della comunità europea a partire dalla storia di tre personaggi: Adolf Hitler, George Bacon e Pier Paolo Pasolini. Lo spettacolo intreccia tre monologhi, A. H. / Caro George / MA, in cui il linguaggio del corpo è allegoria esistenziale dei “residui psicologici” nella società europea attuale. Anche in Giulio Cesare. Pezzi staccati di Romeo Castellucci si riprende il rapporto tra corpo, identità e potere; il regista interviene sul testo di Shakespeare concentrando in due monologhi una riscrittura nettamente corporale in cui si fa visibile il rapporto tra discorso e potere e gli effetti sui corpi degli attori.

Collettivo Cinetico
Collettivo Cinetico < age >

Il corpo è anche al centro della messa in scena di Falk Richter, in cui si rispecchia la frattura tra identità e tecnologia. Never Forever mette in scena corpi nevrotici, isolati e distaccati da sé e dagli altri come risultato di un rapporto malato tra l’ umano e il multimediale. Ancora il corpo protagonista diventa veicolo dell’allegoria tra i maiali e gli umani; nel El Régimen del Pienso della compagnia spagnola La Zaranda, si rappresenta l’effetto del potere sugli individui, e ne risulta un’amara critica sul valore delle persone in relazione all’efficenza nel lavoro. Sul rapporto tra identità e potere Milo Rau ricostruisce le macerie di una tragedia, quella del Rwanda accaduta nel 1994. In Hate radio si ricrea lo scenario della stessa radio che fu testimone del genocidio. L’identità quindi si avvicina ad un insieme di versioni e di testimonianze su un fatto storico, in cui il discorso ha il potere di obbligare al riconoscimento di una forma di memoria e di conseguenza, di comunità.

Oskaras Koršunovas - Hamlet
Oskaras Koršunovas – Hamlet

Sebbene il teatro concede lo spazio per narrare ciò che siamo, qui e ora, è precisamente in questa concretezza reale che la dualità del teatro -e quindi la finzione – emergono. Questo è un altro aspetto comune nel repertorio di quest’anno della Biennale: il confronto delle dimensioni della realtà e della finzione. Lo sviluppo tecnologico ha avuto un evidente influsso nella creazione teatrale facendola diventare un “grande schermo” che, non ha per compito l’atto mimetico di copiare la realtà, ma di farla visibile, d’interrogarla e decostruirla. Questo fenomeno appare in scena nell’uso dei dispositivi multimedia –utilizzo di camere nello scenario, proiezioni video, suoni, uso dei social media ecc. Esacerbazione della finzione per distruggerla, esacerbazione del reale per comprenderlo. In parallelo, entrambe le operazioni riescono a confondere la percezione di teatralità dello spettatore. Su quest’idea abbiamo visto nello spettacolo Julia della brasiliana Christiane Jatahy, una sconvolgente storia sulle dinamiche servo/padrone che opera confondendo la verità della scena attraverso una camera che registra e amplifica tutto in tempo reale. Anche il lavoro del francese Fabrice Murgia con Notre peur de n’être (Il temore di essere) manipola la realtà teatrale, amplificandola e contrapponendo la realtà del copro e la realtà tecnologica.
I personaggi si trasformano sul palco stesso, il teatro si mostra in tutto il suo potere ludico e giocoso, è l’esempio della messa in scena proposta da Lluís Pasqual con El caballero de Olmedo e anche in Hamlet del lituano Oskaras Koršunovas. Entrambi i lavori s’installano negli interstizi tra realtà e finzione teatrali. Tra simulazione e gioco, la proposta della compagnia spagnola Agrupacion Señor Serrano con A House in Asia si incrociano tre storie diverse raccontate su tre livelli diversi: quello degli oggetti in miniatura, quello delle figure a scala umana e quello delle proiezioni in scena. La presenza di dispositivi tecnologici e scenografici eliminano praticamente il corpo dalla scena presentando uno spettacolo che mostra la piena autonomia dei nuovi linguaggi teatrali. Il lavoro della compagnia, cominciato nel 2006 a Barcellona, è premiato con il Leone d’Argento all’innovazione teatrale.

Lluís Pasqual - El Caballero de Olmedo
Lluís Pasqual – El Caballero de Olmedo

Anche se sono mancati autori non europei nel repertorio di quest’anno, il merito della Biennale è stato la scelta di compagnie e registri che seguono un percorso definito e che esprimono una posizione socio-politica attraverso una poetica tutta loro. Questa particolarità esprime anche la volontà di trovare spettatori co-creatori, partecipanti attivi e capaci di codificare criticamente quello che vedono. L’itinerario di questo repertorio è stato labirintico quanto labirintica lo è Venezia, ma i punti di arrivo sembrano essere analoghi; il compito di trovare la strada tocca a noi spettatori.

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