RUMOR(S)CENA – BOLZANO – TRENTO – Questa sera, martedì 27 maggio alle ore 20.00 all’Auditorium Haydn di Bolzano e domani mercoledì 28 maggio all’Auditorium Santa Chiara di Trento (ore 20.30) si conclude la Stagione sinfonica dell’Orchestra Haydn con un concerto dedicato al “Genio inquieto di Mozart” con la partecipazione del pianista Alessandro Taverna e la direzione di Michele Mariotti, direttore musicale del Teatro dell’Opera di Roma dal 2022. L’impaginato scelto propone alcune tra le pagine più celebri di Wolfgang Amadeus Mozart, il Concerto per pianoforte e orchestra n. 21 in do maggiore K 467 e la Sinfonia n. 40 in sol minore K 550, e la Petite Suite di Claude Debussy, capolavoro del compositore francese scritto inizialmente per pianoforte a quattro mani e orchestrato successivamente da Henri Büsser.

Il Concerto per pianoforte e orchestra n. 21 K 467 è uno tra i più noti dei diciassette concerti pianistici che Mozart scrisse a Vienna. La sua fama deriva in parte dall’utilizzo del secondo movimento, l’Andante, come tema musicale nel film Elvira Madigan, scritto e diretto nel 1967 dal regista svedese Bo Widerberg. Licenziato dal servizio dell’Arcivescovo Colloredo, Mozart aveva scelto la vita del libero artista a Vienna, e l’anno della composizione del Concerto, divenuto celebre dopo il successo dell’opera Il ratto dal serraglio. moda. Acclamato da pubblico e critica decise di organizzare su sua iniziativa delle serate musicali per sottoscrizione, note con il nome di Accademie, che avrebbero dovuto insieme rafforzare la sua fama ma anche un tenore di vita maggiore.

Scritto nel 1785, il Concerto n. 21 rappresenta tra i punti più alti in termini di poesia musicale mai toccati dal genio mozartiano. Penultimo capolavoro sinfonico del compositore salisburghese, la Sinfonia in sol minore n. 40 K 550 è considerata tra le pagine più sconcertati per il singolare clima espressivo, il suo cromatismo e le sue arditezze, pur in quel suo sfondo di «classica e inalterata bellezza». Mozart non poté mai ascoltarla, anche se una correzione nella parte originaria dell’oboe, passata parzialmente al clarinetto, potrebbe far pensare ad un adattamento dell’opera in vista di una sua imminente esecuzione.

Per la composizione dei due primi movimenti della Petite suite, pensata inizialmente per pianoforte a quattro mani, Debussy si era rivolto ancora una volta alle poesie di Verlaine tratte dalla raccolta Fêtes galantes. L’opera poetica del poeta aveva un grande fascino sul musicista: Debussy ne ammirava il lirismo, la cantabilità dei versi e la musicalità essenziale dei ritmi leggeri delle parole. Tutte caratteristiche che si ritrovano in questa etera composizione.
In una pausa delle prove del concerto abbiamo incontrato Michele Mariotti per ascoltare dalla sua voce come vive il rapporto artistico e umano, molto proficuo e intenso con l’Orchestra, allargando anche la conversazione su una riflessione della situazione culturale odierna più in generale. Non una semplice intervista ma un vero e proprio scambio di pensieri dove la sua presenza a Bolzano è divenuta negli anni una costante che ha visto crescere la qualità artistica, e non solo, dell’Orchestra. «Nel 2026 saranno dieci anni che dirigo l’Haydn, anche due o tre volte per stagione. La qualità artistica è cresciuta notevolmente anno dopo anno e posso anche confermare anche quella umana, dove è possibile lavorare insieme, sperimentare cose nuove. Io posso permettermi di lavorare molto bene con tutti i professori perché ci conosciamo a memoria, tutti sanno ascoltare e si ascoltano al loro interno.
L’Orchestra ha molti giovani musicisti e dimostra una coesione eccezionale, caratteristica per una serietà imprescindibile e la possibilità di lavorare tutti insieme». Un concetto che porta a ricordare una frase che il compianto Claudio Abbado amava ripetere spesso: “Fare musica insieme” (Das Zusammenmusizieren).

Michele Mariotti nella sua amabile conversazione che si è svolta nel suo camerino dell’Auditorium ci tiene molto a far comprendere quale sia il vero ruolo di un direttore d’orchestra, al di là del proprio ruolo che svolge con impeccabile serietà e talento: «Ogni volta che vado via da Bolzano e Trento mi porto con me qualcosa che mi arricchisce. L’Haydn ha uno spessore culturale, umano e sociale altamente profondo e qualitativo. La musica ma anche la cultura in generale deve saper unire e le varie diversità non devono essere un ostacolo. Non dobbiamo innalzare muri ma costruire ponti e la musica stessa è il primo viatico per la libertà. Questa orchestra con le sue qualità deve mettere d’accordo tutti». Parole che risuonano particolarmente significative in un presente storico segnato da conflitti e sofferenze tra popoli inermi, civili, donne e bambini innocenti. Non si può restare insensibili o indifferenti.
La conversazione tocca anche aspetti pratici del lavoro del direttore che unisce pensiero artistico a gestione dello spazio in cui deve dirigere: «Io vorrei che l’Haydn avesse un suo auditorium molto più grande perché questo attuale dove suoniamo serve solo ad una fetta di musica. Se lo merita! Uno spazio tutto suo e più attrezzato». Ma a fronte di una società attuale dove tutto sembra omologarsi, appiattirsi o regredire, la musica è ancora un presidio che resiste e Michele Mariotti sa bene cosa significa: «È una questione di cultura che a volte c’è e altre non c’è e noi siamo intrattenitori come molti possono pensare. Secoli fa la gente non leggeva molti libri ma andava a teatro che è identificativo di una società e non un luogo di semplice hobby. Se non si comprende che uno spazio teatrale è altrettanto importante come un ospedale, resteremo sempre qui a lamentarci.

Se tu ami quello che fai e cerchi di dare il massimo si capisce l’importanza dell’artista, del musicista e dell’attore. In quello che facciamo andiamo a toccare le corde di qualcuno che è a sua volta è sensibile a quello che siamo noi, ai nostri meccanismi, ai nostri principi. Chi ci viene ad ascoltare non sa nulla di quanto succede dentro un teatro e l’importanza di come lavoriamo per preparare un concerto».
Chiediamo anche la scelta del programma per i due concerti a Bolzano e Trento e in particolare cosa lo ha portato a dirigere Mozart: «Lo avevo diretto solo una volta con l’Haydn nel 2020 ma durante la pandemia con la sala senza pubblico. Mozart ti commuove sempre. La K 467 la dirigerò questa sera con Alessandro Taverna ( si è affermato a livello internazionale a partire dal Concorso Pianistico di Leeds nel 2009, ndr) che conosco molto bene, e poi la 40. Spaziamo dal classicismo al neoclassicismo a Debussy onirico, sognante, descrittivo. Mozart è tenero, divertito ma anche enormemente drammatico, sorprende sempre. Le sue opere sono capolavori che raccontano qualcosa di nuovo ogni volta che le esegui e le ascolti. Non sono vittime dell’epoca che le ha generate. Con Mozart ti senti “nudo” e vivi una sorta di trasparenza, di pulizia. Non puoi barare. Un compositore fuori da ogni categoria che sempre ci sa commuovere, così come accade con Bach, ad esempio».

E il pubblico come risponde? Chi scrive assiste alle numerose chiamate in proscenio alla fine dei concerti che lei dirige
«Trovo che il pubblico qui sia molto affezionato e mi ha sempre amato fin dalla prima volta che mi ha conosciuto. Un’empatia che arriva da loro ed entrambi, noi musicisti e loro spettatori, siamo al servizio di produrre emozioni perché si coglie questa unità di intenti che ci accomuna».