musica e concerti — 16/05/2025 at 09:03

Delicate vibrazioni: “Questi miei pensieri. Tributo a Mimì”

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RUMOR(S)CENA – ROMA – “Amavano le mie canzoni, ma non me …  Avevano paura di me”. Delicata come un fiore, intensa come una scheggia di vetro, resistente come la pietra lavata dalla tempesta. Così reagiva Mimì Bertè, ormai all’arte Mia Martini, con ferita ironia, ricordando la persecuzione subita per un quindicennio da un’Italia retriva e bigotta, rancorosa e competitiva, come non l’avresti mai detta esistere in quegli anni settanta che erano anche di rivoluzione politica e del costume, fino al libero amore, all’anarchismo, al terrorismo. Mia Martini, questa chansonnier alla francese, sbarcata dalla luna a cantar d’amore e d’anima, nell’Italia dello stile yeye da un lato, e del cantautorato politico dall’altro, dove ascoltare Battisti, Endrigo, Modugno e il Festival di Sanremo, era politicamente scorretto.

Tanto delicata graffiante intelligente da dar fastidio sia alla Ricordi, che la multa per ben 200 milioni per aver rescisso un contratto limitante, sia ai colleghi, da parte dei quali sarà oggetto di ostracismo, con la scusa della sua fama di iettatrice, nata per caso e poi sempre più gonfiatasi. Comincia nel 1970, dove le attribuiscono la colpa di un incidente d’auto di dei colleghi, e diventa satira in TV quando Boncompagni, a Disco ring, nel 1979, ci scherza apertamente. Fino ad arrivare ad artisti che non vogliono esibirsi dove c’è lei. È la deriva, la cancellazione, l’emarginazione, con anni di avvilenti concertini in provincia. Poi l’operazione alle corde vocali, ed il ritiro negli anni ottanta, un esilio volontario ma non rinunciatario, durante il quale studia e ricarica le batterie, per la sua ricomparsa folgorante ma breve nel 1989 (morirà sei anni dopo). Breve cometa ormai consacrata, ma mai incoronata da Sanremo, tanto da obbligare a creare per lei il Premio della critica (ora a suo nome).

Una forza della natura, ma costituzionalmente solitaria. Una eterna outsider, un corpo estraneo. Un trasparente cristallo, che Questi miei pensieri. Tributo a Mimì, di Mauro Toscanelli, vuol far risorgere in un omaggio che è insieme più cose: biografia poetica, atto di giustizia e risarcimento, recital canoro, e autobiografia di un’emozione, di un amore che è identificazione e forse radice di vocazione. Perché la sua arte attoriale e di regista, il suo stare nel teatro sono, come in Mia, estroflessione in arte della propria delicatezza interiore, arte come storia d’anime.

E non è esagerato parlare di identificazione e radice. Toscanelli infatti mischia al racconto, qua e là, la scansione degli anni che aveva lui. Diciotto quando inizia l’esilio di Mia, paragonato (in peggio) a quello di Enzo Tortora, accusato di collusione con la mafia. Empatizzò allora con l’isolamento di Mia, e sospetti quasi che questo consuonasse ad una sua solitudine adolescenziale. Ma la prima apparizione ce la descrive a 5 anni, quando si innamora della copertina del singolo Piccolo uomo (1972). Un imprinting dunque, come lo è il dolore per Mia, che bambina canta per non sentire i genitori che litigano, e che col padre ha subito nel cuore guerra. Li lascia quando lei ha 11 anni, ma riesce anche a ferirla paragonando il canto alla prostituzione, quando lei ancora non sa cosa significhi prostituta. E lei gli renderà pariglia nella canzone Padre davvero (1971) … “Padre, davvero sarebbe grande / Sentire il parere della tua amante! / Poi sono venuta e non mi volevi”. Una canzone poi censurata per la parola amante applicata al padre.

Stante la base dunque dell’operazione, che è l’atto d’amore, è coerente che si viaggi per sottrazione, in nudità e umiltà. Nuda la scena (solo microfoni e leggii, e una abat jour a destra), e denudata la proposta da ogni teatralizzazione. Il protagonista racconta e giudica, ripercorre le tappe, rende giustizia, descrive i paradossi, le sofferenze, la resilienza. E intervalla cantando brani con un parlar cantato delicatissimo, simile a quello di lei, ma che evita con intelligenza di misurarsi dove la propria voce non arriva, e quella di lei sforava. Le canzoni commentano i picchi emotivi e reattivi, ed i raggiungimenti. Poi, accanto, a tratti, al lume dell’abat jour, lui diventa lei, che ricorda e rivive alcuni apici emotivi. Avanza recede pauseggia, fraseggia lo spartito delle emozioni con rattenuta gestualità delle mani. E’ a fondo teatro dell’anima, concentrato in una immobilità che esplode nell’emotività del viso, nella delicatezza del cantar parlato, in improvvisi struggenti esili affondi della voce.

A sorreggerlo, ai due lati, dietro, con intelligente appoggio musicale, Adriano D’Amico alla tastiera e Andrea Causapruna alla chitarra, senza mai sovrastare, ma dilagando nelle pause con intelligenti assoli, talora quasi chopiniani, o scatenandosi, a turno, a percussioni improvvisate sulle casse, mentre Toscanelli cede a lievi mosse di danza e all’eccitazione ritmica, agitando pudicamente un tamburello. Mimì muore giovane, a 47 anni, nel 1995. Arresto cardiaco per overdose da cocaina. Suicidio ?  Mai provato. Suicidata dalla società piuttosto. O comunque così le fa dire Mauro Toscanelli: “Sono sola? Mi sono uccisa? No! Mi hanno uccisa le vostre paure.”. E chiosa cantando una delle sue ultime, Mimì sarà (1994), “Sarà che tutta la vita è una strada con molti tornanti / E che i cani ci girano intorno con le bocche fumanti”. Ora via tutti. Scena vuota.

E nel vuoto della penombra la luce fa sfolgorare, su un attaccapanni, un drappo di seta rossa coronato da un ampio cappello bianco. Il fantasma di Mimì, mentre la sua voce off, chiudendo il cerchio sulle origini, intona Oltre la collina (1971).

“Io fuggo per / cercare disperatamente un amore. / Un amore mio, un amore magari / felice oppure, oppure infelice, / ma sì, tanto è lo stesso. / Mi basta solo che sia un amore. Un cantar d’amore dunque, il suo, per essere amati.

E che trova compimento in quest’atto d’amore scenico. Nell’amore di un diverso come solo può esserlo un teatrante. E un amore che non può passare, come lo invocava nella celeberrima Almeno tu nell’universo (1989)

Tu, tu che sei diverso / Almeno tu nell’universo […] Non cambierai / Dimmi che per sempre sarai sincero / E che mi amerai davvero di più, di più, di più

Un concerto d’anime in amore dunque, questo di Toscanelli, che parte forse un po’ lento e didascalico, ma cresce per volute concentriche sempre più dense, fino ad avvolgerci in un altrove. Lo spettatore è narcotizzato dal bagno d’anima, intriso, dimentico. Salvo svegliarsi al dovuto applauso, che non accenna a smorire.

Questi miei pensieri. Tributo a Mimì. Di e con Mauro Toscanelli. Andrea Causapruna, chitarre e percussioni. Adriano D’Amico, tastiere e percussioni. Regia, Mauro Toscanelli. Le letture sono tratte dal libro di Aldo Nove, “Mi chiamo”. Disegno luci, Gloria Mancuso. Ufficio stampa, Andrea Cavazzini Grafica, Cristiano Cocumelli. Produzione, Melanchòlia Teatro

Visto a Teatrosophia di Roma l’8 maggio 2025

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