RUMOR(S)CENA -ROMA- Non è facile portare l’arte a teatro. Tanto meno una biografia artistica, più spesso veicolata da conferenze mascherate da teatro (vedi uno Sgarbi in forma o Strinati) Dunque merita un apprezzamento di stima per il coraggio il testo con cui Marco Buzzi Maresca ha bissato la felice tenitura della passata stagione con la rivisitazione della parabola di Jackson Pollock, il teorico dell’action painting, massimo esponente di quello che è stato anche ribattezzato l’espressionismo astratto. Il fermento inquieto di una vita caotica, a tratti disperata, nell’ora di animata interpretazione di Gianni De Feo (anche regista) che collide (stride) con Serena Borelli (alias la pittrice Lee Krasner), l’alter ego delle sue sublimazioni artistiche e/o sentimentali o sessuali.

Non si pensi a un piatto andamento biografico anche se l’indice è ovviamente puntato su un anno chiave, quello in cui Pollock compie 44 anni e va a concludere l’esistenza in un drammatico incidente stradale in cui muore la sua amante di allora e un’amica di lei, quando è già lontano, ma non idealmente, da Krasner che alla sua morte, sarà l’erede materiale delle sue fortune ma anche del suo enorme patrimonio artistico quando sembra che, anagraficamente, il meglio debba ancora venire. Il Bianco, il titolo della rappresentazione, è il colore base, il colore puro che da vita a infinite scelte cromatiche. E, non a caso, anche il colore dei vestiti degli interpreti protagonisti. Gianni De Feo mette in gioco la propria abilità coreutica in un tessuto vario e multiforme di una partitura che ha un costante tessuto sonoro musicale che non è ovviamente puro sottofondo ma va a corroborare la sostanza dello spettacolo, a fondersi abilmente in essa, sottolineando, quando occorre, pathos e struggimento nel momento della creazione.

I rari momenti di pace della coppia Pollock-Krasner sanno di idillio ma i conflitti sono decisamente più impressivi e singolari. Circola erotismo palpabile quando nell’ammiccamento delle pose sessuali vengono simbolizzate gli amplessi dei due. Scorre molta arte sullo schermo/fondale inclusa la tecnica del dripping, la sgocciolatura, prerogativa di Pollock, abile nel far colare il colore. La piaga dell’alcoolismo progressivamente mina Pollock, ne piega la personalità e ne evidenzia le debolezze. Pollock teorizza l’arte come terrore dinamitardo, un provocatorio scuoti coscienze. Accusato di propagandare una versione fallocentrica dell’esistenza a un certo punto in scena vede riassumere in versione tridimensionale le donne che di fronte (Krasner, ovviamente, la madre e un’infermiera a cui chiede perentoriamente la chiamata di un medico).

È l’erede ferito di un’America post atomica, ricca di fermenti ma anche di profonde contraddizioni. La coppia teorizza un’esplosione anti-convenzionale che si rifletta nella vita e nell’arte portando alle estreme conseguenze la ribellione sociale. Non è un caso che nel momento dell’incidente Pollock quasi divinizzi il grande riabbraccio con la terra da cui tutti provengono. La rilassatezza della società americana in quegli anni, che furono anche di maccartismo, è complice del suo declino. Krasner non fu parte marginale della vita di Pollock perché si rivelò il tramite che gli consentì di accedere all’ingente prestito della mecenate Peggy Guggenheim, chiave per acquistare una casa in legno con annesso fienile che l’artista trasformò in laboratorio. Conseguenze del suo quasi messianico apostolato la fortuna commerciale del pittore. Nel 2006 un’opera di Pollock è stata venduta per 148 milioni di dollari.

Il moto caotico dell’anima era l’altra faccia dell’inquietudine pittorica. Per chi rischi di perdersi nel dedalo di una biografia, ovviamente ricapitolata al momento del capolinea e della resa dei conti, la raffica di foto e documenti finali che, per induzione e suggestivo apparentamento, mostrano incredibilmente un Gianni De Feo somigliante al Pollock della maturità nonostante i 25 anni anagrafici di differenza. Piccolo miracolo del teatro e di una contaminazione simbiotica.
BIANCO di Marco Buzzi Maresca, con Serena Borelli e Gianni De Feo, regia di Gianni De Feo, coreografia e aiuto regia Maria Concetta Borghese, musiche originali Theo Allegretti, drammaturgia musicale Gianni De Feo e Roberto Rinaldi, produzione Teatrosophia.
Visto al Teatrosophia di Roma l’11 ottobre 2025.




