Recensioni — 03/03/2025 at 21:56

The dark side of the moon Luci e tenebre, tra fanatismo, eroismo, purezza

di
Share

RUMOR(S)CENA – ROMA – Uno spettacolo intenso, statuario questo Giovanna Dark, di Matteo Fasanella , e che continua a maturare negli anni, dopo il debutto romano a Stanze Segrete, nel 2019. Dico statuario, perché è la sua caratteristica nel bene e nel male, costituendosi la splendida recitazione di tutti gli interpreti come una teoria di gruppi statici scaglionati nello spazio, secondo una scansione articolata da una fantasmagoria di luci che isolano fotogrammi ed epifanie, ma solo raramente originanti vero movimento dinamico. La storia è quella ben nota dell’ingenua popolana che agli inizi del quattrocento, durante la guerra dei cent’anni – convinta di sentire la voce dell’arcangelo Michele – riuscì, nonostante analfabeta giovane e donna, a farsi santa condottiera delle armate francesi contro gli Inglesi, portando alla presa di Orleans, e all’ascesa al trono di Carlo VII.

Una donna tuttavia scomoda per l’epoca, sia per la Chiesa che per la monarchia, e che raggiunto il potere Carlo abbandonerà nelle mani degli Inglesi, e che finirà bruciata sul rogo per eresia. Una strana strega, in anticipo sui processi seicenteschi, e che prima di ricevere il destino delle streghe, è stata glorioso e ingenuo strumento del potere e una martire. Un segno della forte mentalità religiosa dell’epoca, e il cui processo già allora suscitò dubbi. Dubbi che resistettero nel tempo, fino alla canonizzazione come santa nel 1920, da parte di papa Benedetto XV.

Crediti foto di Claudio Giuli

Fasanella – che oltre alla regia cura l’adattamento, ed è pure in scena come attore –  rielabora la Santa Giovanna di Bernard Shaw del 1923 (da cui prende forse più la parte sul processo), ed il film di Luc Besson, Giovanna d’Arco, del 1999, da cui prende l’aspetto invasato della santa, ma anche il gelido e perfido realismo della ragion di stato, attribuito qui alla regina, invece che alla suocera come in Besson. Non è dichiarata invece un’altra fonte. Si potrebbe poi ipotizzare un’altra fonte, benché non dichiarata

Giovanna Dark è infatti la protagonista di Santa Giovanna dei Macelli, di Bertolt Brecht, del 1932. Lì una ingenua religiosa laica che pensa di indurre un perfido industriale della carne alla carità verso i suo operai licenziati, per la crisi del ’29. Ovviamente fallendo miseramente. Questo sposterebbe decisamente nel senso della modernizzazione del discorso, che se è romanticamente centrato sulla tragedia di lei, tuttavia vira decisamente al dark side di questa luna romantica, che diventa una luna insanguinata, tra fanatismo e potere.

Si può giustificare il sangue? E le ragioni sono ragioni o deliri fanatici? Come non pensare oggi all’Ucraina, ad Israele e Gaza. E stando al titolo di Brecht, come non pensare alla storia come ad una opera continua di macelleria, guidata dal puro interesse: il capitalismo per Brecht, la monarchia qui. Ma sempre alla fine la macchina del potere, una inutile macchina di bramosia e vanità. Una macchina intrinsecamente stupida, oltre che di una vana crudeltà. E non a caso Fasanella, in due modi diversi, inscena la stupidità. Quella farsesca, miserabile (alla Ubu Roi) di Carlo VII; e quella tragica del fanatismo di Giovanna, nella sua cecità idealizzante.

Crediti foto di Claudio Giuli

Sono stupidità e assurdo il centro tragico dello spettacolo, in cui si inseriscono altri due opposti tragici: il sentimento e la ragione. Così se Jean d’Aulon (un accorato e liquido Pietro Bovi) di fronte al destino della santa, invoca la luce contro la violenza del potere, ed in ginocchio la santifica e venera (omaggiando il lato ingenuo del sentimento, e fedeltà e coraggio), preconizzando la canonizzazione,  questo culmine è preceduto da lunghi duelli con l’ombra (un sulfureo ed ironico Fasanella, la faccia mezza tinta di nero, a marcare la scissione), personificazione dei dubbi interiori di lei, e quindi voce della coscienza, ma anche forse personificazione faustiana di Satana, o per converso, di Dio. La accusa di narcisismo (seguivano te, non Dio), di arroganza, di violenza, costringendola a portare a coscienza il sangue da lei stessa versato. Assetata di sangue dunque, e non pura.

Può mai la violenza della guerra essere pura? Lei affonda disperata, bestemmiando dostoevskianamente lo stesso dio nel cui nome prima si muoveva come sulle ali, chiedendo perché Dio non fermi le guerre. Dunque non è lei violenta? Dunque la violenza è la violenza di Dio? La sua estrema tentata via di fuga è anche la sua disperazione, il crollo del suo castello isterico, forse frutto di traumi da guerra d’infanzia. Besson aveva del resto immaginato lei bimba avesse assistito allo stupro della sorella e al massacro del suo villaggio da parte degli Inglesi, da cui il suo odio per niente sacro.

Crediti foto di Claudio Giuli

Ma torniamo allo stile. Fasanella modifica lo spazio, mettendo il pubblico di lato, creando una lunga scena a corridoio, che sale fin sopra le gradinate normalmente riservate al pubblico. Tutto è fasciato di nero, pavimento pareti soffitto, favorendo il risalto plastico dei gruppi in scena (a luce piena), e l’uso delle sottolineature luminose nel buio: dal bianco dei volti sospesi, come decollati, fantasmagorici, al rosso verde blu che marcano atmosfere più livide, e particolari periferici. Il corridoio come percorso dalle stanze del potere (in alto a sinistra), al conflitto interiore e tra le parti (a centro scena), all’uscita nella storia, in fondo a destra, dove due separé introducono ad un’anticamera all’azione esterna, ed al ritorno delle conseguenze (la guerra, il ritorno di lei ferita, e poi il chiudersi di quello spazio, dietro una grata, a farsi prigione).

Di lì arriva infatti, correndo, ad inizio spettacolo, Giovanna, fermandosi muta al centro, a guardarsi intorno smarrita, per poi accarezzare il trono vuoto, coperto da un panno. Riassunto simbolico? Sogno? Poi tutto comincia… Il corridoio sembra rievocare la scena plurifocale del terzo teatro, dove il pubblico doveva scegliere da che lato guardare, perché ovunque succedevano contemporaneamente cose, a destra, sinistra, e al centro. Era un modo per togliere al pubblico la padronanza centrale della visione, a favore di un dinamismo immersivo, di un cadere nell’accadere, fuori dalla pura rappresentazione.

Crediti foto di Claudio Giuli

Non è qui il caso. Qui il corridoio serve a sgranare momenti statici, fotogrammi marmorei, gruppi di scontro in costume; oppure, nel buio, a disegnare (con deplacements ottici, ora qui, ora là, ed effetto sorpresa) fantasmagorie, epifanie luminose, con effetto cinematografico ed onirico. Tuttavia la longitudinalità dello spazio contiene il proprio potenziale bifocale, il proprio perturbante strabismo, e verso la fine, sia pure in modo statico, quasi in stop motion, con effetto di tensione e controcampo, anche Fasanella se ne avvale. Così, quando tutto è avvenuto, e Giovanna è stata abbandonata, senza truppe, a sinistra, in trono, silente, il re assiste, mentre lei a destra patisce la propria disperazione.

È il silenzio della distanza crudele tra i due, che si materializza nella muta presenza della divaricazione. E non a caso, subito a seguire, eccolo accadere una seconda volta. La luce si fa livida, e mentre lei appare nella penombra dietro le sbarre, a destra, in alto, a sinistra, di schiena, borbottando e guardandosi nello specchio, si prepara l’antagonista (l’ombra, la coscienza, l’Altro). È il culmine della divaricazione. Non più tra potere e sentimento, ma personificazione della lacerazione in lei stessa. E subito parte, sul vuoto siderale e minaccioso, la voce off, dove si contrappongono la visione romantica della morte, in lei, e lo sfottò materialistico dell’altro che le toglie il terreno sotto i piedi. I gruppi marmorei comunque funzionano.

La vestizione solenne di Giovanna all’inizio, armatura e spada. Giovanna alla fine, nel buio e nel fumo rosso, in piedi nel rogo, il volto irrorato di livida luce bianca. E il vescovo (un perfido Guido Lomoro) fermo nell’angolo, dal nulla, gelido volto di luce a galleggiare nel buio, a portare la minaccia della Chiesa. O lo splendido e patetico Jean D’Aulon (Pietro Bovi), che a terra alla fine disperato declama per lei Dylan Thomas ”Non andartene docile in quella buona notte, infuria contro il morire della luce”. Oppure la regina che, muta, guardando dall’alto, col suo viso tra le mani, il re, vigliacchetto e affranto per lo stress e i dubbi, lentamente lo risolleva al trono.

Il re. Avevamo già accennato alla sua riduzione al grottesco, splendidamente ed istrionicamente agita da Lorenzo Martinelli, fin quasi talvolta a risultare sopra le righe. Pavido, furbetto, vanesio, avido, isterico, quasi un femminiello. E avevamo detto delle due stupidità, il potere ed il fanatismo. Questo però è vero in parte. Il re qui è il lato superficiale del potere. Il vero potere è nell’ombra. È il pensiero. Perché Giovanna Dark è anche la tragedia dell’ingenuità. Il vero potere in questo caso sono la Chiesa e la regina. Ma la Chiesa è prevedibile, nel suo formalismo. Interessante invece è la figura della regina, che qui a mio parere – col suo machiavellismo sadico da manipolatrice, del re come della santa – si manifesta come una vera e propria Lady Macbeth, senza però i capovolgimenti che poi nell’originale terremotano lei e lui.

Lady Macbeth quindi, contro un aspirante re rimasto alla fase infantile di Macbeth, alla sua iniziale debolezza. E Diana Forlani è abile nell’incarnarne la controllata capacità manipolativa, al contempo fredda e tagliente, e suadente e diplomatica. Tutti bravi comunque, a loro modo, anche se forse, pure per il fuoco passionale implicito nelle loro parti, talora un po’ gridati, Gilles De Rais (Alessio Giusto), comunque uno scultoreo monolite di rabbia e invidia, e Giovanna D’Arco (Virna Zorzan), che va tuttavia sempre più crescendo col crescere della sua crisi interiore, fino a rifulgere di cristallo nella disgregazione e nella disperazione.

E Matteo Fasanella? Magistrale nella sua ironica e severa mestizia faustiana, nel gestire la crudeltà accusatoria della ragione. E in ogni caso incandescente spettacolo di luce e tenebra questo, dal ritmo serrato. E sinfonia di luci. E calorosamente risponde il pubblico

Giovanna Dark, da A. Birkin, L. Besson e G. B. Shaw, Adattamento e regia Matteo Fasanella con Virna Zorzan (Giovanna D’Arco), Alessio Giusto (il consigliere Gilles De Rais), Pietro Bovi (Jean D’Aulon), Lorenzo Martinelli (Carlo VII di Valois), Diana Forlani (Regina Maria d’Angiò), Guido Lomoro (Vescovo Cauchon). Matteo Fasanella (l’ombra). Assistente alla regia Nicolò Berti. Scenografie Maurizio Marchini. Costumi Darkside ETS . Foto Christian Sicuro. Social Media Manager e Grafica Agnese Carinci. Produzione Dark ETS e Teatrosophia

Visto a Teatrosophia di Roma, 19 febbraio-2 marzo 2025

Share

Comments are closed.