RUMOR(S)CENA- ROMA- Non un saldo fine stagione ma una coloratissima commedia che taglia il benemerito nastro delle 150 repliche in capo a qualche anno di vita, licenziata da Vincenzo Salemme ben 28 anni fa ma evergreen per le caratteristiche di farsa napoletana semi eterna. In effetti solo piccoli accorgimenti di attualità per ricordare il conclave e il giocatore che il Napoli calcio ha dovuto cedere per incassare sonanti milioni. Salemme ha passato il testimone in solide mani a una Compagnia dove non c’è un vero e proprio prim’attore anche se alcuni sobbalzi comici in contropiede sono parto dell’abilità di Francesco Di Leva, primus inter pares in un coro in cui gli uomini hanno le parte dominanti e le donne, alla fine tutte incinta, sono il giusto contraltare in una società descritta come patriarcale.

Però, attenzione il personaggio dominante che domina dall’alto e per la vice voce di un microfono è la capofamiglia. Impositiva e odiata. Quella per cui si ordirà un complotto in cui tutti sono consenzienti per sistemare i conti e accedere all’attesa eredità. Folclore napoletano, chitarra multiuso, ricorso a motivetti popolari e meno (Vinicio Capossela), coreografie andanti mosse per vivacizzare scene di gruppo promiscue e molto corporali. Ci si accosta a un plot borderline per verosimiglianza ma a cui si concedono le attenuanti generiche dovute a una farsa che necessita di essere miscelata sopra le righe con effervescenze e continui cambi di ritmo.
La sottolineatura filosofica riguarda la differenza tra il guardare e il vedere. Perché bussa alla porta dei gestori di una premiata pasticceria napoletana un cieco (si dice non vedente oggi…) che creduto colposamente morto, dopo un grave incidente, si è visto estirpare le cornee, e, guarito, torna a reclamare i perduti occhi. Di mezzo c’è un chirurgo al centro di una macchinazione che, per colpa dei debiti accumulati nel gioco d’azzardo, si dedica a traffici illegali di organi. Così l’estirpato si piazza nella pasticceria e minaccia di rimanerci se non ricompensato. Nelle more dell’attesa la vicenda ha modo di raccontarsi vari intrecci sentimentali sessuali che alla fine porteranno a una sorta di gravidanza collettiva. Il titolare ha una relazione con una donna assertiva che non sopporta di vivere una relazione segreta.

Un pasticcere dipendente sopporta il legame con l’opina Giuditta solo in ragione di una possibile acquisizione patrimoniale anche se occhieggia una popputa collega. Quanto a chi pretende il risarcimento è accompagnato da due barboni di incerta estrazione, protagonisti di alcuni riusciti siparietti comici. Di qui, progressivamente, tutta la concertazione, vira verso il complotto di famiglia. La madre diabetica verrà fatta fuori con una torta mefitica che verrò cosparsa di droga e di veleno, attentando contemporaneamente al suo diabete. Ci fermiamo sulla soglia dello spoiler. In effetti il finale non sarà esattamente quello immaginato dai congiurati perché la madre, con un ghigno beffardo, sarà pronta a prendersi la rivincita, costretta a cedere i propri occhi al danneggiato. Una filosofia sottile sottintende i due tempi dello spettacolo.

Il cieco è il rivelatore, quello che fa scoprire ai cosiddetti normali la vera vista sulla cose mentre sono obnubilati dalla propria meschina ipocrisia sentimentale e esistenziale. Dunque la sorte gli prospetta un ruolo importante, quasi kafkiano. Assumerà gli occhi della madre con uno scambio alla pari. La risata si accompagna a un sottotesto amaro anche se la psicologia non è certo l’ingrediente fondatore dei dialoghi. La logistica della pasticceria dopo la prima ora di ambientazione diventa solo il luogo ispiratore del dolce assassino con un vistoso cambio di fondale e di prospettiva. La Compagnia Nest si mostra poliedrica e multiforme nell’interpretare Salemme dopo un giro di valzer che ha riguardato Shakespeare, Pirandello, Eduardo De Filippo, Age e Scarpelli.
PREMIATA PASTICCERIA BELLAVISTA, una commedia di Vincenzo Salemme, con Francesco Di Leva, Adriano Pantaleo e Giuseppe Gaudino, e con Stefano Miglio, Viviana Cangiano, Federica Carruba Toscano, Dolores Gianoli, Alessandra Mantice. Regia di Giuseppe Miale Di Mauro, scene di Luigi Ferrigno, costumi di Chiara Aversano, disegno luci Paco Summonte, coreografie di Chiara Alborino.
Visto al Teatro Sala Umberto di Roma il 27 aprile 2025