Culture — 29/10/2014 at 20:37

Il Teatro Zandonai: un passato glorioso, un futuro radioso

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(crediti fotografici e ricerca immagini di Federico Barone)
(crediti fotografici e ricerca immagini di Federico Baroni. Tratto dal libro Il Teatro Zandonai di Michelangelo Lupo)

ROVERETO – Il Teatro ha riaperto le sue porte accogliendo dopo 12 anni di restauri la cittadinanza che ne era stata privata per molti anni. Risale al 2002 l’epoca in cui iniziarono i primi lavori di restauro conservativo della struttura, delle pitture e degli apparati lignei, dotando il teatro di impianti di sicurezza a norma. Una lunga ricerca negli archivi storici ha permesso di ricostruire quelli che erano stati gli interventi del passato. Il Teatro Comunale di Rovereto Riccardo Zandonai viene edificato nel 1783 su progetto dell’architetto Filippo Maccari, ed è il terzo a nascere dopo quello della Scala di Milano e la Fenice di Venezia, in soli due anni vede la luce. Ed è anche il primo a sorgere in Trentino su volere di una città aristocratica e borghese durante il XVIII secolo.

Subisce un affronto e la depredazione degli arredi durante gli anni della Prima Guerra mondiale quando venne usato come una stalla per i cavalli e caserma dell’esercito. Rinasce nel 1919 con la rappresentazione dell’opera “Francesca da Rimini” di Riccardo Zandonai, compositore originario di Rovereto, nome scelto per intitolare il teatro e vivente al momento della scelta. Nel 1924 i lavori di restauro volgono al termine e l’inaugurazione avviene alla presenza del principe Umberto di Savoia. Nel 1944 Zandonai muore e dieci anni dopo verrà eseguito un concerto commemorativo sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica. Era il 18 settembre del 1954 quando sul palcoscenico del Teatro sale l’Orchestra e il Coro della Scala di Milano diretta da Antonino Votto. E qui la Storia si incrocia con il presente, allorché la sera dell’inaugurazione avvenuta il 18 ottobre, si presenta sulla porta del foyer un signore anziano che si avvicina con molta titubanza, quasi fosse intimorito dal clamore dell’evento che vedeva coinvolto tutto il corso Bettini e il Teatro al suo interno con l’esecuzione della Nona di Beethoven eseguita dall‘Orchestra Haydn e dal Coro del Teatro Comunale di Piacenza, diretti da Arvo Volmer.

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Un uomo desideroso di raccontare un frammento della prestigiosa vita di questo rinnovato e splendente teatro, il cui restauro ha restituito tutta la sua magnificenza. Si chiama Claudio Volcan e chiede di poter mostrare il programma di sala risalente al 1954. Lo conserva gelosamente conscio del valore storico culturale che quel foglio ingiallito rappresenta per la vita musicale di Rovereto un evento unico. Quella sera – ci racconta – fu eseguito un programma tutto dedicato al primo decennale della morte del compositore, come si legge sulla copertina: “Onoranze a Riccardo Zandonai”. Nel comitato d’onore figuravano tutte le personalità più illustri del Trentino, dal Presidente del Consiglio Regionale, Provinciale, della Giunta Provinciale a onorevoli deputati trentini come Giovanni Spagnoli, fino all’Arcivescovo Carlo De Ferrari e Monsignor Celestino Eccher. Il passato che ritorna la sera che da inizio a due mesi di festeggiamenti, e Claudio Volcan il Teatro Zandonai lo conosce bene fin da bambino: “ Io cantavo in un coro giovanile insieme ad altri miei coetanei e mi ricordo che ci chiamarono per cantare nella Boheme del 1952. Ci sono tornato anche da adulto come operaio per lavorare al restauro”.

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La sera del 18 ottobre è una data che ha permesso di dire al sindaco Andrea Miorandi che da “padrone di casa” ha stretto la mano a molti degli ospiti sulla porta d’ingresso, di dire “il Teatro è tornato”. Una frase che è stata accolta con emozione e tanta partecipazione sia all’interno che all’esterno, grazie ad una serie di eventi spettacolari che si sono susseguiti per tutto il pomeriggio fino all’evento principale con il concerto inaugurale. Una festa sulla strada con la sfilata di cori, di scuole di danza, di ben 500 artisti coinvolti per un “Opening Mob” curato da Marco Alotto. Una sfilata in costume asburgico, danzatrici e musiche etniche, i performer del Teatro Tascabile di Bergamo, bande musicali cittadine che andavano a comporre la Piccola Orchestra Lumière, diretta da Gianni Caracristi, cantanti lirici e altri danzatori sbucavano dalle finestre del teatro. Una festa collettiva che dava il segno di come l’inaugurazione non fosse per pochi eletti come spesso accade. Tralasciando le polemiche sulla gestione degli inviti gratuiti a fronte di chi pagava il biglietto per assistere al concerto, di cui se ne occupa più la cronaca che la cultura, il senso di questa inaugurazione vedeva l’impegno dell’amministrazione comunale per dare un messaggio forte e chiaro alla popolazione: il teatro deve tornare a tutti, specie a chi non lo conosce e non è mai entrato. I giovani per primi. Ora dovrà essere uno spazio in cui programmare una stagione degna del prestigio che lo Zandonai ha sempre rivestito per la vita teatrale, artistica e culturale non solo della città.

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Un patrimonio di tutti che andrà riempito di contenuti scelti per soddisfare ogni preferenza. In questo senso si può già notare l’impegno dell’assessorato alla cultura di Rovereto nell’aver stillato i primi due mesi di programmazione. Ma l’importanza che riveste la riapertura dello Zandonai non è solo data dalla possibilità di restituire alla comunità uno spazio per lo spettacolo (teatro che nel passato si chiamava “Sociale”), ma anche il valore della “riscoperta” grazie ad un lungo lavoro definito di “scavo storico culturale” realizzato per mano dell’architetto Michelangelo Lupo, fra i massimi esperti di arte settecentesca in Italia, da anni consulente per i restauri del Quirinale e del Vaticano. Il 7 novembre prossimo presenterà il volume dedicato al Teatro Zandonai (edito dalla casa editrice Zandonai e dal Comune di Rovereto) dove si evince come il lavoro sia stato mirato grazie a lunghe indagini bibliografiche e ricerche negli archivi, condotte sia a Rovereto che all’estero, e corredato da immagini d’epoca e dalle fotografie realizzate da Carlo Baroni. L’autore ci spiega come ha condotto gli studi che hanno permesso la pubblicazione: «La ricerca è durata tre anni ed è stata incentrata sulla consultazione di testi conservati nelle biblioteche di Rovereto, dell’Archivio di Stato, la Rosminiana, e in quella del Museo Cooper Hewitt Smithsonian Design Museum di New York. Il Teatro è stato costruito basandosi sulla pianta del Teatro Filarmonico di Verona.

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L’edificazione avviene in seguito all’acquisto del terreno da parte del Conte Francesco Alberti Poja e di Luigi Carpentari che finanziarono la costruzione, vendendo sulla carta i palchetti alle famiglie nobili di Rovereto. Chi lo acquistava pagava metà subito e l’altra metà del prezzo all’atto della costruzione del palco. L’architetto costruttore Filippo Maccari di origini bolognese è lo stesso che ha costruito il Filarmonico di Verona, mentre i dipinti sono stati realizzati dai fratelli Marcola pittori veronesi». L’architetto Lupo si è dedicato a ricostruire la storia dello Zandonai dal 1828 al 1871 e dal 1924 al 1972, raccogliendo ben 200 documenti inediti, compreso il manifesto della prima rappresentazione avvenuta nel 1784, con la messa in scena di “ Giannina e Bernardone” di Domenico Cimarosa.  La costruzione del teatro avviene grazie ad un ambiente sociale elevato, grazie ad una città abitata da gente colta. Rovereto era una fucina dell’Illuminismo e dai documenti che appartengono alle famiglie Fedrigotti Malfatti si è potuto conoscere qual’era la società che andava a teatro. L’indice dei nomi è composto da ben 1800 nomi».

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L’inaugurazione dello Zandonai si è svolta in un clima festoso quanto di sobrietà come doveva essere, complice la musica classica capace di catalizzare su di sé la concentrazione del pubblico. Un concerto sinfonico che è un inno alla gioia nel suo finale con tutta la potenza vocale e concertistica che Beethoven imprime alla sua Nona sinfonia. L’Orchestra Haydn a ranghi compatti si è dimostrata all’altezza delle aspettative condotta con il gesto ampio di Arvo Volmer che dal podio ha diretto i complessi orchestrali e il Coro del Teatro Municipale di Piacenza (diretto da Corrado Casati). Le voci soliste del soprano Sabina von Walther, il mezzosoprano Annely Peebo, il tenore Dominik Wortig e il baritono Sebastian Holecek. Un’esecuzione ricca di pathos e sfumature che hanno creato la giusta atmosfera per dare il via alle celebrazioni. Nomi come Giancarlo Giannini, Ferruccio Soleri, la compagnia Abbondanza/Bertoni, saliranno a turno sul palcoscenico.

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Da segnalare anche l’evento dedicato al Teatro Contemporaneo che si terrà mercoledì 5 novembre alle 17 con il Forum sul tema ‘Visioni’ di Teatro Contemporaneo un’occasione di riflessione artistica a più voci, condotto da Emanuela Rossini, e a seguire la messa in scena di “Tutto”, di Rafael Spregelburd realizzato dalla Compagnia roveretana Evoè!Teatro. Un’occasione per interrogarsi su due impostazioni: il teatro classico e teatro contemporaneo – con cui oggi si classificano spettacoli, artisti, epoche culturali diverse creando con queste parole spesso cesure, generazionali e tra epoche? E soprattutto, che cosa ne pensano gli artisti del territorio e le realtà teatrali emergenti?  Condotto da Emanuela Rossini, l’appuntamento vuole essere l’occasione per parlare anche di nuova drammaturgia e di come la traduzione teatrale da sempre faccia da trait d’union tra un’eredità del passato ed il sentire contemporaneo, grazie alla partecipazione all’ incontro di Philipp Löhle, drammaturgo tedesco.

Ore 20:45

TUTTO
di Rafael Spregelburd

regia
Alessio Nardin

con
Silvio Barbiero
Alessandro J. Bianchi
Nastassia Calia
Emanuele Cerra
Clara Setti

disegno luci: Marco Manfredi, Luca Brun
suono e musiche: Lorenzo Zanghielli
supervisione costumi: Anja Tavernini
organizzazione: Sara Di Lucia
supervisione progetto: Marta Marchi
produzione: Evoè!Teatro

Perché tutto nello Stato diventa burocrazia?
Perché tutta l’Arte diventa commercio?
Perché tutta la Religione diventa superstizione?
La comicità amara di Rafael Spregelburd si concentra su tre domande: tre situazioni che si susseguono a ritroso nel tempo, risucchiando personaggi e atmosfere in una drammaturgia disarticolata che non trova soluzioni ma pone domande. Tre episodi, tre piccole storie quotidiane, tre fabule morali. Gli exempla di Spregelburd nella loro semplicità indagano aspetti fondamentali della vita reale e ci interrogano sul concetto di popolo. Che cos’è che in ogni momento ne caratterizza l’ identità? Crediamo che essa sia casuale?

(I crediti fotografici delle immagine del Teatro Zandonai sono di Federico Baroni, tratte dal volume “Il Teatro Zandonai” di Michelangelo Lupo).

Si ringrazia per la gentile concessione 

www.teatrozandonai.it

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