Recensioni — 28/11/2016 at 21:47

L’ Ubu Roi di Roberto Latini: teatro dell’assurdo soprendente e vero…

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FIRENZE – Di stretta attualità dopo le elezioni americane, col suo metter in scena un mondo dove tutto è possibile, anche gli scenari più incredibili, minacciosi e, forse, assurdi: l’adattamento e la regia di Roberto Latini del Ubu Roi, il capolavoro grottesco di Alfred Jarry diventa un’opera sorprendente, clownesca e maledettamente verosimile. Teatro dell’assurdo che più assurdo non si può e che forse per questo può diventare prima possibile e poi vero. Il giovanissimo francese Alfred Jarry la scrive nel 1896, pochi anni dopo il Pinocchio di Collodi, e sia Padre Ubu che Pinocchio nascono come burattini, creature estranee al mondo che li circonda, sono storti, sghembi, con parlate strane (uno per tutti: il tormentone “merdra” di Padre Ubu), e tic vari. In scena, a fare da contraltare alle svariate azioni che si susseguono, c’è sempre il Pinocchio impersonato da Roberto Latini, omaggio a Carmelo Bene forse, di cui l’attore e regista in un certo senso segue il percorso nel suo teatro originale, battagliero e controcorrente.

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Padre Ubu e Madre Ubu ( gli ottimi, spassosi Savino Paparella e Ciro Masella) sono personaggi completamente a-morali, privi di ogni scrupolo, pronti a tutto pur di andare avanti, volgari, cinici, sporchi, mostruosi, portano all’eccesso le meschinità e le piccinerie dell’animo umano per meglio mostrarcelo, in questa parodia del Macbeth shakespeariano piena zeppa di echi, rimandi, citazioni. La follia della condizione umana mostrata in un susseguirsi di girotondi clowneschi e felliniani, teneri inserti poetici, personaggi come caricature piene di eccessi, di smanie, di ingordigia, di ferocie inaudite, di slealtà continue. Un’immensa solitudine però riecheggia in questa lunga, dissacrante, variegata opera, un distacco simboleggiato da quel Pinocchio onnipresente che sembra combattere solo lui contro tutti i mali del mondo; lì così efficacemente rappresentati in quella Madre Ubu che spinge il Padre Ubu, ad uccidere il re di Polonia e i suoi figli, per usurparne il trono, e così facendo scatena la guerra ma poi a morire ci manda gli altri, in quella catena ininterrotta di menzogne, inganni, ferocie, sangue.

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Il grottesco e l’assurdo sparsi senza soluzione di continuità, in quegli attori che interpretano en travesti personaggi femminili, in quei modi di parlare distorti, in quei tormentoni lessicali, in quei costumi sgargianti, in quelle citazioni continue, in quegli inserti dolci e poetici buttati là, come se quello fosse il modo migliore, o forse l’unico modo, di mostrarci il marcio che c’è nell’animo umano, ingigantendolo, sbattendocelo davanti agli occhi, con l’allegria e la tristezza insieme, con l’oscenità e la tenerezza, col caos e la solitudine a dividersi lo stesso spazio scenico.

Il carattere principe del grottesco è infatti il mantenere grandi contatti con la realtà, riuscendo così a coinvolgere pienamente il pubblico: l’avidità, la sete di potere, la cupidigia, la ferocia sono riprodotte in un modo bizzarro, in un caravanserraglio dionisiaco ma crudelmente veritiero, ben riconoscibile. L’autore che ha trascorso gli ultimi anni della sua breve vita scegliendo di trasformarsi davvero in Padre Ubu, travestendosi e muovendosi come lui, parlando come lui, adottandone i comportamenti bizzarri , forse anche come scudo dal mondo, oltre a denunciarne la sua disapprovazione per essere così omologato e ipocrita, facendolo restare in disparte per il suo aspetto fisico sgraziato.  Pensava che per renderci consapevoli dei nostri mali, bisognasse esserne pienamente coscienti per uscirne prima che fosse troppo tardi, e che il teatro fosse il mezzo giusto per farlo. Forse non aveva poi torto.

Visto al Teatro di Rifredi di Firenze il 16 novembre 2016.

Ubu Roi

Fortebraccio Teatro in collaborazione col Teatro Metastasio Stabile della Toscana

adattamento e regia: Roberto Latini. Con: Roberto Latini, Savino Paparella, Ciro Masella, Sebastian Barbalan, Marco Jackson Vergani, Francesco Pennacchia, Guido Feruglio, Fabiana Gabanini.

In replica al Teatro  dell’Aquila di Fermo il 30 novembre 2016

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