laboratori di teatro, Teatro — 25/06/2014 at 19:31

Il marionettista Jordi Bertran e il teatro di figura

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Jordi Bertran (crediti foto di Ilaria Costanzo)
Jordi Bertran
(crediti foto di Ilaria Costanzo)

RIMINI – In occasione del workshop che dal 15 al 20 giugno ha animato l’Atelier della Luna, una casa d’arte arroccata in un antico borgo sulle colline riminesi, Montefiore Conca, il marionettista catalano Jordi Bertran  racconta la sua esperienza artistica.

Com’è iniziato il suo percorso nel teatro di figura?

«Fino agli anni settanta la mia sola memoria sul teatro di figura è rappresentata da uno spettacolo di burattini a guanto che vidi da bambino. La Catalogna, come tutta la Spagna, non aveva una tradizione di teatro di figura e fu un marionettista inglese, Harry Vernon Tozer, grande amante di Punch, il Pulcinella inglese, a importarla. Nel 1925 Tozer, inizia a lavorare in Spagna come elettricista e a Barcellona inizia a costruire le prime marionette. Finita la guerra, fonda una compagnia, chiusa per motivi politici alla fine degli anni Cinquanta. Crollata la dittatura franchista, la Catalogna inizia a recuperare la sua tradizione, la lingua, la cultura, il teatro indipendente e le marionette. Fu in questo momento che Pepe Otal, allievo di Tozer presso l’Institut del Teatre di Barcellona, abbandonò il maestro, che non amava esporsi in pubblico, e iniziò a lavorare per strada. Qui io lo conobbi. Era il 1977, l’inizio della tradizione per il teatro di marionette in Catalogna.

Io ero musicista e iniziai a lavorare prima con la compagnia di Otal, poi con la compagnia di Carles Cañellas, El Col·lectiu d’Animació de Barcelona. In questi due anni imparai a costruire le marionette e ad animarle. Con la Companyia Ambulant Els Farsants lavorai per otto anni sia come musicista sia come costruttore di marionette. Nel 1985 frequentai il corso del marionettista tedesco Albert Rocher, invitato a Siviglia dall’Unima, l’Unione Internazionale della Marionetta.

(crediti foto  Ilaria Costanzo)
(crediti foto Ilaria Costanzo)

Da lui appresi il controllo inclinato della marionetta, oltre al controllo verticale appreso dalla tradizione inglese. Creata la Companyia Jordi Bertran, presentammo il primo spettacolo, Antologia, nel 1988 al Fira de Teatre al Carrer de Tàrrega, dove ebbe un grande successo di critica e pubblico. In Antologia feci confluire nella manipolazione delle marionette sia la tecnica inglese sia quella tedesca. Oggi utilizzo anche il controllo derivato dalla tradizione americana, in particolare dal maestro David Syrotiak, che usa un controllo orizzontale. Normalmente parto dalla progettazione della marionetta e in base ai movimenti che questa necessita, adatto una scuola o l’altra o le unisco inventando un nuovo tipo di controllo».

Le figure sono dei personaggi con cui l’attore-manovratore deve rapportarsi, dei suoi alter ego o dei prototipi umani che tentano di superarlo sulla scena?

«L’attore è perfetto e non c’è nessun tentativo di superarlo o sostituirlo. Però è certo che la marionetta può far cose che l’attore non può fare e in questo senso si può dire che supera l’attore. In Sul Teatro delle Marionette lo scrittore romantico Heinrich Von Kleist parla di questo: il primo ballerino dell’Opera di Parigi è incantato dalla marionetta perché esegue movimenti che lui non può fare e, soprattutto, non risponde alle leggi di gravità. Per alcuni aspetti la marionetta può superare l’umano ma un testo di Shakespeare, ad esempio, io non posso immaginarlo senza l’attore. C’è una coinvolgente adattazione dell’Avaro di Molière per il teatro d’oggetti, dove i personaggi sono rubinetti e il potere non è dato dai soldi ma da chi detiene l’acqua ma credo che l’attore sia fondamentale nel teatro di testo. Per me sono interessanti la poetica del movimento, la tecnica e la marionetta stessa.

Il mio rapporto con le marionette è come quando John Malkovich si pone dentro i suoi personaggi nel film Essere John Malkovich. Le figure rappresentano i miei alter ego, o meglio sono i personaggi che io avrei voluto essere. Attraverso le marionette realizzo tutti i miei miti: da piccolo ammiravo il violoncellista Pau Casals, anzi mi sarebbe piaciuto essere come lui, e quando prendo la sua marionetta e interpreto i canti popolari catalani mi sento un po’ Casals».

(crediti foto di Ilaria Costanzo)
(crediti foto di Ilaria Costanzo)

L’attore-manipolatore è visibile sulla scena?

«Dipende dallo spettacolo ma di solito l’attore-manipolatore sta in penombra, in luce c’è la figura. La relazione tra l’attore –vivo- e la marionetta -la finzione- è interessante. Quando si pone un attore a fianco della marionetta, questa cresce, prende vita e forza. Nello spettacolo Poemes Visual, il chitarrista a fianco della figura in movimento, una lettera T stilizzata, crea una relazione che le fa crescere umanità e credibilità. In questo caso l’illuminazione è uguale sia per l’attore sia per la figura, mentre i due manipolatori che la muovono sono in ombra.

Nel teatro di figura la presenza o l’assenza dell’attore-manipolatore dipende dalle esigenze di scena e varia molto. Il marionettista francese Philippe Genty, ad esempio, unisce la danza e la manipolazione di marionette cosicché ha attori, manipolatori e figure sempre visibili; con il burattinaio australiano Neville Tranter e il suo gruppo olandese, Stuffed Puppet, il manipolatore a volte è attore e si rapporta con la marionetta, altre volte è solo manipolatore e non è visibile. Qualunque sia il rapporto tra l’attore in carne ed ossa e l’attore inorganico per me è interessante».

(crediti foto di Ilaria Costanzo)
(crediti foto di Ilaria Costanzo)

Come lavora alla preparazione dell’attore-manipolatore per superare o meglio gestire efficacemente la tensione fra figura e attore?

«L’attore-manipolatore deve intraprendere la carriera tipica d’attore d’arte drammatica e, in più, deve apprendere le tecniche di manipolazione della marionetta. È raro incontrare un manipolatore che abbia buone capacità d’attore, anche perché è molto difficile riuscire a mantenere separate la concentrazione sulla manipolazione e sulla recitazione. Lo stesso rapporto tra l’attore e la marionetta mossa da un manipolatore è molto complicato perché l’equilibrio tra l’attore vivo e l’attore inorganico deve essere sempre mantenuto costante».

Come costruisce la scrittura scenica in relazione alla figura e agli attori?

«In principio devo sapere cosa raccontare. Ci sono la storia e la messa in scena. Lavoro molto con l’improvvisazione e ho diversi collaboratori che sono implicati nel processo di creazione. I miei  spettacoli sono principalmente visivi e seguono la struttura del cabaret o del musical. Il processo creativo è sempre diverso. Antologia è uno spettacolo di cabaret dove metto in scena vari personaggi attraverso le migliori marionette che avevo costruito durate gli anni Ottanta. Con Poemes Visual non racconto nessuna storia, ogni piccola scena è come un frammento di poesia. Questo testo, ispirato al poeta Joan Brossa, nasce dopo la visione di una sua opera nella quale la scrittura diventa un gioco estetico attraverso la drammatizzazione di lettere tridimensionali: da qui l’idea di manipolare una figura-lettera per farla vivere.

Quando ho scritto la sceneggiatura per La Sucrera diabética avevo avuto problemi di diabete: è la storia di una donna, una zuccheriera, senza lavoro, con problemi di diabete e con un marito che la picchia. È teatro d’oggetti e ha una grammatica scenica totalmente diversa rispetto al teatro di marionette. Qui sono le caratteristiche dell’oggetto a creare il personaggio e il racconto, l’oggetto diventa un’icona del personaggio da mostrare: il marito, per esempio, è un mortaio e già da sé rimanda al pestaggio; inoltre, tra lo zucchero e il mortaio c’è un rapporto che metaforicamente rimanda a un atto violento.

Con la marionetta preferisco il cabaret, le piccole storie, i piccoli momenti: amo poter essere Salvador Dalì toccandola, o essere Edith Piaf dandole la voce. La marionetta, per me, è poesia, è magia: non c’è intellettualismo, solo incanto. Nell’ultima creazione La Strada, un omaggio a Fellini, Tati, Colombaioni, l’ambientazione è il circo, quindi i personaggi sono figure classiche ma con delle attitudini particolari: ho costruito la marionetta di un sassofonista che cammina in equilibrio sulla corda tesa; oppure sto costruendo la marionetta di un domatore di farfalle che corre sul monociclo. In queste marionette c’è una complicazione tecnica a livello di costruzione della figura che è una sfida ed è quello che m’interessa in questo momento».

I suoi spettacoli sono destinati a un pubblico infantile?

«È un cliché che le marionette siano per un pubblico infantile perché è un’arte che, se attuata con professionalità, può essere per tutti. Nei festival internazionali di teatro di marionette o burattini dalla Galizia alla Russia ci sono normalmente spettacoli per adulti e per bambini. Io lavoro per un pubblico adulto, anche se spesso, in Spagna, mi inseriscono nelle programmazioni di teatro per famiglie mentre ai festival questo non succede. C’è un nuovo teatro ora a Barcellona, Sala Fenix, che ha in cartellone anche il teatro di marionette inserito all’interno della programmazione serale: qui presenterò La Strada».

 

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