Teatro, Teatrorecensione — 24/07/2014 at 14:54

Lacrime di perdizione e di salvezza nel Santo Genet di Armando Punzo

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VOLTERRA – Lacrime di perdizione e di salvezza. Occhi lucidi e bagnati da gocce di poesia e verità  che si rifrangono nel bianco abbacinante che inonda di luce un cimitero algido. Sarcofagi funerei asettici, templi devoti, un angelo divinità protettrice sovrasta l’agorà, luogo di celebrazione mesta e dolente in cui l’officiante da inizio al rito. Cerimonia laica e sublime. Accade all’interno di un luogo di espiazione dove ogni gesto si tramuta in redenzione e le parole risuonano come echi perenni. L’indefinibile della genesi artistica si trasforma in un’azione stimabile dove il peso specifico dell’atto creativo assurge a verità. L’universalità nel lavoro di Armando Punzo alchimista capace di trasformare sogni e miraggi in realtà immaginifiche, è la manifestazione visibile di un impegno teso verso una poetica, che porge all’uomo un’ancora di salvezza e di riscatto, da un “male di vivere” di  vite terrene,  segnate da angoscie esistenziali.  Una vita arida e incapace di trovare l’armonia con il suo mondo.

Santo Genet Armando Punzo (crediti foto di Stefano Vaja)
Santo Genet Armando Punzo (crediti foto di Stefano Vaja)

Solo la verità e la chiarissima presa di coscienza e il coraggio di porsi di fronte ai tanti interrogativi crudeli e terribili, permette di ritrovare la propria lucidità e la sensibilità di sentirsi appartenente all’altro. Gli anni trascorsi nel Carcere di Volterra hanno saputo creare una comunità di intenti dove la condivisione diventa inclusione. Nasce così l’esperienza di venticinque anni in carcere: forma espressiva legata ad un atto creativo che appartiene al mondo interiore di ognuno di noi. Santo Genet vive e trasforma l’istituto di pena in un viaggio itinerante nelle profondità dell’universo genetiano. Jean – Paul Sartre dedica una delle sue biografie a Jean Genet: “Saint Genet, comédien martyr”, un saggio che doveva costituire in principio l’introduzione alla prima edizione delle opere complete dell’autore definito come “scandalose”.

Tutto ha inizio con un sorriso che ammicca e seduce accoglie gli astanti: una lunga fila in processione. È il viso di Armando Punzo. Lo sguardo parla a tutti in un silenzio interrotta da note di una musica dolente e rarefatta di Andrea Salvadori. Un uomo dalle fattezze orientali bagna con l’acqua le pietre dure dove centinaia di piedi calpestano l’acciottolato. La purezza del gesto benedice l’attraversamento di due schiere di  statue viventi e marmoree. Sono i marinai in pose plastiche dai gesti rallentati e indicanti la strada da percorrere. Uomini dalle esistenze segnate a mani giunte per dare inizio alla solennità della cerimonia dove si consumano citazioni mistiche da Santa Teresa D’Avila. Tutto appare come già perduto e lontano, una vita ormai scomparsa. La sposa velata di nero dal viso ceruleo avanza lentamente e segna il passo scandito da un battito cardiaco che pulsa nell’aria. Vedova di picche. Piccoli putti dalle ali dorate, un tamburino e una fanciulla con il violino, entrano e sfilano come un drappello di soldatini.

Santo Genet (crediti foto di Stefano Vaja)
Santo Genet (crediti foto di Stefano Vaja)

Resti di una civiltà decaduta e dimenticata in cui vagano uomini peccatori eppure così puri. L’uomo di Genet proviene dai bassifondi più oscuri e torbidi ma sono più sinceri di chi si professa come esempio di rettitudine e onestà. Vite maledette che la Morte cerca di rapire, confessioni liberatorie dinnanzi a specchi nella galleria interna del Carcere, lungo simulacro di stanze dove un San Sebastian in posa lasciva si lascia tracciare il corpo di rossetti per labbra e risponde sommesso:” Mi fa male la tua ferita”. Un postribolo lussurioso in cui lasciarsi condurre per mano vincendo la ritrosia e la diffidenza. Non esiste giudizio in quello che accade, non c’è contraddittorio ma solo esperienza estetica e intellettuale a cui dare la tua massima disponibilità.

Santo Genet racconta per voce di Armando Punzo, ieratico nel suo incedere, frammenti desunti dalle opere di Genet. Rimandi celebri dalle immagini cinematografiche del Querelle de Brest fassbinderiano. L’abbandono dei corpi che ti ammalia e ti porta a danzare con una Madonna azzurra, un cardinale fiammeggiante di rosso purpureo, marinai dai bicipiti possenti e dallo sguardo di adolescenti mai divenuti abbastanza adulti. Kafka, Brecht, Pasolini, Dalì, l’opera omnia di Genet da cui trarre i fili che conducono nelle stanze delle meraviglie dove accade di assistere alla trasfigurazione dal corpo terreno di un rude e ambiguo uomo nel suo vestito appariscente in una Vergine Maria.

Armando Punzo  (crediti foto di Stefano Vaja)
Armando Punzo (crediti foto di Stefano Vaja)

Appare un cuore dai raggi dorati si espande sulla tela dove appare la Madonna fino a scomparire. Sublime metafora che da la misura di come Punzo abbia voluto rappresentare l’inconciliabilità degli opposti. Il gioco della realtà e della finzione come lo è Le Balcon a cui il regista e interprete da voce e corpo a quello che l’uomo e lo scrittore Genet aveva deciso di vivere: un’esistenza maledetta, nella convinzione assoluta di provare su stesso, tutto quello che la morale dominante concatenata al concetto di Bene, ha sempre ripudiato e vietato come in Notre Dame des Fleur il romanzo d’esordio dello scrittore francese, resoconto autobiografico del viaggio di un giovane uomo nei meandri della malavita parigina degli anni ’30.

Santo Genet Gaspare Mejri (crediti foto di Stefano Vaja)
Santo Genet Gaspare Mejri (crediti foto di Stefano Vaja)

Santo Genet di Punzo testimonia la sofferenza, la perdizione, la dissolutezza senza mai togliere nulla alla speranza grazie alla trasposizione lirica che si esprime attraverso la poesia, nei romanzi e poi nel teatro. Quel Teatro definito come una “festa funebre” rievocato dal pensiero drammaturgico da Punzo che gli fa dire sul finale: “Il cimitero è l’unico teatro possibile”. Genet ribelle e accanito nella ricerca della degradazione e dell’accettazione sottomessa del suo destino di emarginazione. Punzo e i suoi fedeli collaboratori bravissimi interpreti che incarnano in se stessi le fattezze dei personaggi genetiani, che definirli semplici attori è riduttivo e fuorviante, ci fa riflettere come sia rischioso ripudiare quel mondo oscuro dove regna l’orribile e l’abietto, negando l’esistenza di una sua bellezza celata, oscura, malefica ma pur sempre bellezza. Un errore che comporterebbe la rinuncia alla conoscenza profonda di Genet e delle tante facce terrificanti che compongono l’essere umano.

Santo Genet 

ispirato all’opera di Jean Genet

drammaturgia e regia Armando Punzo

Visto nel Carcere di Volterra – VolterraTeatro il 23 luglio 2014

In replica il 24 -25 e il 26 al Teatro Persio Flacco di Volterra 

www.volterrateatro.it

(in copertina Aniello Arena Santo Genet)

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