Chi fa teatro, Teatro — 23/06/2015 at 11:55

Gigi Gherzi e il Teatro d’Arte civile, workshop nel Salento

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LECCE – Succede a Sud. A Novoli, nella provincia Salentina, a venti minuti da Lecce, dove la lentezza scandisce tempi e relazioni, pratiche e professioni. La dolcezza di luoghi, parole, suoni si mischia al fervore tipico delle vivacità di queste terre impresse, ritualmente, nei corpi e nelle manifestazioni collettive. Una policromia peculiare, caratteristica.

Gigi Gherzi è un protagonista del teatro degli ultimi quarant’anni. Ha vinto numerosi e tra i più prestigiosi premi nazionali, lavorato con i più importanti gruppi e teatri di ricerca italiani ed europei. Nell’ambito del progetto, appena assegnato, di residenza teatrale Teatri Abitati della Regione Puglia,  le compagnie Factory Transadriatica e Principio attivo, attivano il Workshop per attori condotto dall’attore, regista, drammaturgo trentino ma ormai milanese. Quando la pratica collima con l’urgenza, la sapienza con la passione a diffonderne, l’arte con l’esposizione. Un tema di riferimento (un testo), metodologie, fare teatrale. E l’incanto di una voce, di una percezione che diventa materia plastica, corpo in movimento, parola incarnata. Diventa arte.

Gigi Gherzi in scena
Gigi Gherzi in scena

Gigi Gherzi racconta del suo laboratorio. Con uno stupore che non è solo trasmesso ma acquisito. Un ricrearsi nell’atto di ricreare. “Il laboratorio nasce – racconta Gigi Gherzi sul principio scaturente il seminario – da un grande interesse reciproco che c’è tra me e il gruppo di Principio Attivo Teatro in cui ho visto dei semi estremamente interessanti: intanto l’uso di una parola, relativa al teatro ragazzi, che da tempo non si sentiva; una parola assolutamente fresca, capace di trattare questa condizione non con gli occhi di cinquant’anni fa, come succede delle volte, ma con degli occhi contemporanei. Personalmente, poi, mi sono sentito molto vicino a un lavoro teatrale di Giuseppe Semeraro dedicato a Danilo Dolci, anche per me poeta di riferimento. Una di quelle grandi figure forse leggermente dimenticate, ma che invece, anche nel metodo, hanno segnato qualcosa di importante.”

Entrando nel merito del lavoro e delle ispirazioni a concepimento: “Discutendo insieme (alle compagnie residenti ndr), ci piaceva lavorare sull’idea di dialogo, in teatro una forma estremamente precisa: un personaggio parla a un altro che risponde. In realtà, anche nella mia attività didattica a Milano o in giro per l’Italia, mi accorgo di una certa tendenza a costruire dei materiali ‘autistici’, attori che si parlano addosso. Necessario capire, allora, che qualsiasi battuta in verità è un dialogo, con un interlocutore presente o immaginario, con un pezzo della propria anima o con il pubblico. Avere continuamente presente il teatro anche nella prestazione attorale oltre che come una sorta di circuito di dialoghi, di relazioni continue, è una cosa molto utile. E questo è stato il primo grosso filone su cui ho lavorato, ovvero cercare di fare uscire dalla retorica teatrale il dialogare. Sia attraverso uno scambio di battute con un partner in scena, sia attraverso l’autore di un testo in un contesto in cui viene rappresentato. Una serie di input opposti, insomma.

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Il discorso s’insinua nell’urgenza del come, nell’esercizio e le poetiche della pratica:

“Una seconda cosa che mi piaceva portare nel laboratorio è una linea di lavoro pedagogica che ho messo a punto negli ultimi dieci anni. Ho diretto una scuola a Milano che si chiamava La bottega dell’attore/autore in tempi in cui ancora questa parola veniva usata pochissimo (nel 2002), perché mi interessa molto la figura dell’attore che pensa a quello che fa, che è capace di costruire, nei casi migliori, addirittura un progetto, chiedendo quel tipo di incontro con un regista o un drammaturgo che permetta allo spettacolo di trovare la sua forma. E m’interessa molto l’attore capace di portare al regista e al drammaturgo delle visioni compiute, dei brani d’improvvisazione, delle volte addirittura degli scritti o una serie di riferimenti. Questa linea pedagogica l’ho portata qui, nel Salento, all’interno del seminario con il risultato molto interessante di avere 12- 13 persone, partecipanti, che scrivono e non scrivono banalità, che partono da materiali propri per dialogare con un testo di riferimento.”

La scelta del materiale d’indagine: “Questo testo è il Frankenstein di Mary Shelley continua Gigi Gherziscelto per diverse ragioni: perché è un dialogo ininterrotto tra lo scienziato creatore di una disgraziata creatura senza nome, velocemente chiamata ‘il mostro’. I dialoghi concreti nel Frankenstein sono tre o quattro fra i due: s’incontrano, si mandano a quel paese, si perseguitano, si rincontrano dopo un anno, continuamente però è un dialogo interiore tra creatore e creatura. Inoltre il Frankenstein ha una struttura molto strana: una persona che racconta alla sorella di avere incontrato un tizio che gli narra, oltre alla sua vita, di avere creato un mostro e cosa racconta a lui il mostro della propria vita. Una struttura di anelli dal punto di vista drammaturgico, come fosse un romanzo epistolare del settecento, dipinge un tessuto continuo di relazioni, di chiodi fissi, di necessità di capire l’interlocutore. Partire da una condizione per parlare ad un’altra condizione.”

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Il lavoro concreto con il gruppo:

Con il gruppo quindi ho lavorato sul dialogo, sul Frankenstein, sull’emersione e sulla conoscenza di alcune strutture di metodo che riguardano la dimensione dell’attore/autore. Per esempio un esercizio principe di Brecht: quello di motivare continuamente la propria azione scenica anche articolando la spiegazione a livello razionale, l’attore commenta quello che andrà a fare prima e poi lo dimostra. Perché lo sviluppo si struttura necessariamente in una metodica che deve essere molto precisa cioè l’apertura di un territorio creativo all’attore se non avviene dentro a dei paletti scelti, ma estremamente coscienti, rischia di essere un emersione di cose che in maniera impropria vengono chiamate creatività, fantasia, immaginazione e subiscono molto l’ego narcisista dell’attore inutile allo spettacolo, al tema a cui ci si riferisce, al processo collettivo. Riflettere allora sulla costruzione dei paletti che permettono la creatività altrimenti inesistente e capire come questi paletti possono accompagnare realmente uno sforzo, ma che siano al contempo abbastanza larghi da non inibire o castrare o creare complessi d’inferiorità.

Un aspetto interessante è la partecipazione al laboratorio di persone che non faranno mai l’attore in vita loro, magari con una forte attitudine alla scrittura, alla fotografia, alla musica. Questo crea un percorso molto interessante: alla stessa domanda si comincia a pensare partendo da angolature differenti e tutto questo costruisce un tessuto di contributi, di riflessioni che io definisco ‘scenario’ anziché testo. Il testo è una struttura compiuta, uno scenario indica una serie di possibilità da cui un’operazione drammaturgica e registica può partire attingendo a una ricchezza di materiali e a una comprensione profonda da parte degli attori della linea direttiva principale della scommessa poetica. Ho trovato un gruppo estremamente disponibile, estremamente ‘simpatico’ da questo punto di vista, e incuriosito da questa metodica frequentata nella nostra storia teatrale recente.

In fondo anche il grande teatro di narrazione di questi ultimi quindici anni nasce dall’attività di attori/autori molto spesso e questa novità, anche metodologica, credo stia dando degli strumenti sia alle persone dall’approccio prevalentemente attorale che ai non professionisti. Delle esperienze che danno dei grandi risultati artistici, costituiscono un teatro d’arte civile: mettere la comunità al centro del processo creativo. Queste sono le esperienze che stiamo attraversando all’interno del gruppo di lavoro.

 Gettare semi per germogli, nuove fioriture, frutti.

Il seminario si è svolto a Novoli dal 20 al 24 Giugno ’15 presso il Teatro Comunale di Novoli – Residenza teatrale nel progetto “Teatri Abitati” di Compagnia Factory Transadriatica e Principio Attivo Teatro.

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