Chi fa teatro — 30/01/2014 at 23:30

Andrej Konchalovskij doma La bisbetica di William Shakespeare

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L’apparenza inganna, come raccontò Francis Veber in una delle sue più recenti commedie per il cinema. Non solo inganna oggi, ma anche nel XVII secolo ai tempi di William Shakespeare.

Tutto questo è racchiuso nelle pagine de La bisbetica domata (The taming of the shrew, 1594), di cui Andrej Konchalovskij ha proposto una versione completamente moderna, curando sia la regia sia la scenografia dello spettacolo. Non c’è da aspettarsi niente del teatro tradizionale elisabettiano, né tantomeno il costume, che appare sporadicamente come puro orpello decorativo, considerato dagli attori e quindi dal regista stesso come elemento grottesco e del tutto old-fashioned. Della trama Konchalovskij rispetta quantomeno il setting spaziale, ovvero la città di Padova, crocevia di intellettuali, nobili e mercanti da altre città italiane, come Verona e Pisa, ma la vicenda si svolge nei primi anni ’20 del XX secolo durante l’avvento fascista, su uno sfondo virtuale e tridimensionale di edifici classicheggianti, mossi dal dito enorme di una divinità invisibile e che ricordano la prospettiva della città ideale di Piero della Francesca e la pittura metafisica di Giorgio de Chirico.

 

 

La scena ha poco del teatro ed assomiglia molto di più ad un set cinematografico, in cui gli attori si improvvisano tecnici oppure aspettano la propria entrata a lato palcoscenico, ripassando la parte o sistemando il trucco come in camerino. Non solo il tempo della storia viene portato in avanti, a dimostrazione del fatto che le vicende possono ripetersi anche a distanza di secoli, ma anche il testo subisce una rivisitazione perché la storia inizia immediatamente in medias res su una piazza in cui si avvicendano uomini eleganti, servi e poliziotti in divisa fascista, e saltando invece a piè pari la cornice introduttiva, in cui Christopher Sly, ubriacone tuttofare, viene trasformato in un signore di corte a cui viene offerto per piacere uno spettacolo comico.

La commedia o comodia sta tutta concentrata nel binomio Petruccio- Caterina, la famosa bisbetica dalla lingua mordace. Il risultato dipende molto anche dagli attori, perché Mascia Musy eccelle nella parte, arrivando a graffiare sia con le parole sia con la voce da animale selvatico, e da parte sua Federico Vanni le tiene testa con notevole presenza scenica. Come domare, allora, una bisbetica nata tale per natura? Uccidendola a suon di finta gentilezza. In questo scopriamo quindi che nonostante il suo buon biglietto da visita, Petruccio si dimostra molto più ruvido ed autoritario della moglie, che invece si rivela un fuoco fatuo e molto più docile delle altre mogli, apparentemente miti di carattere ma in realtà prepotenti. Il giusto modus operandi di domare Caterina è quello di ripagarla con la stessa moneta, escogitando un piano per gradi che fa un baffo perfino al cavallo di Troia.

Da un punto di vista stilistico l’opera fa parte di quella categoria, che dai critici è stata definita commedia eufuistica, caratterizzato dal gusto manieristico ed attribuito a John Lyly, autore dell’opera Euphues o l’anatomia dell’ingegno (1578). Nonostante il proliferare di figure retoriche -metafore e antitesi soprattutto- vi sono delle trovate comiche non previste, come il cuoco catalettico o la canzone “vieni, c’è una strada nel bosco”, che il pubblico di sicuro non si aspetta e che contribuiscono a togliere pesantezza ad un testo altrimenti antico.

Immancabile invece il teatro nel teatro, non solo per la forma di teatro cinema, ma anche per la doppia finzione innescata dai personaggi che fingono in scena di essere altri. Nel finale in cui Caterina vestita in charleston rende nota la virtù dell’ubbidienza, acquisita a suon di bastone dal marito, lo spettacolo coniuga sulle note di “Parlami d’amore, Mariù” poesia e surreale. Surreale perché la bisbetica domata da un astuto maestro dimostra come nella vita tutto è possibile e che l’abito non fa il monaco.

La bisbetica domata

di William Shakespeare

traduzione Masolino D’Amico

regia e adattamento Andrej Konchalovskij

con Mascia Musy, Federico Vanni,

Roberto Alinghieri, Peppe Bisogno,

Adriano Braidotti, Vittorio Ciorcalo,

Carlo Di Maio, Flavio Furno,

Selene Gandini, Antonio Gargiulo,

Francesco Migliaccio, Giuseppe Rispoli,

Roberto Serpi, Cecilia Vecchio

scene Andrej Konchalovskij

con la collaborazione di Marta Crisolini Malatesta

costumi Zaira de Vincentiis

coreografa Ramune Chodorkaite

luci Sandro Sussi

realizzazione video scenografia Alessandro Papa, Mariano Soria

Visto al Teatro Metastasio di Prato il 23 gennaio 2014

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