Teatro, Teatrorecensione — 21/09/2012 at 12:26

Sorrisi a denti stretti per L’ “Effet de Serge” a Short Theatre

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Un astronauta con una torcia, una stanza con tavolo da ping-pong e portafinestra sul fondo, moquette viola non fissata al pavimento. Si presenta così, nei panni dell’astronauta che ha interpretato nello spettacolo precedente di Vivarium Studio, Serge, lo stralunato personaggio che dopo aver fatto tappa in mezza Europa ha girato molti festival dello stivale per approdare a settembre al teatro India di Roma, ospite di Short Theatre.

L’Effet de Serge diretto da Philippe Quesne, si apre dunque, come di consueto, come spiega la voce registrata dell’astronauta futuro Serge, con la scena finale dello spettacolo precedente della compagnia. Il vecchio personaggio serve a introdurre quello nuovo, ad andare in avanscoperta nell’ambiente in cui quest’ultimo vive. Nel buio fumoso da film di fantascienza, si agita dunque una torcia che inquadra nel suo cono di luce tutti i particolari del nuovo set. La gentile voce francese dell’impeccabile protagonista Gaëtan Vourc’h, segue puntuale l’esplorazione, descrivendo in terza persona ogni possibile azione che il suo futuro personaggio potrà compiere servendosi degli oggetti presenti in scena, determinando, per eccesso di precisione e di dettaglio, un effetto comico che individua da subito il registro dell’intero spettacolo.

Terminata la rassegna delle più improbabili attività che un uomo possa compiere in una stanza con una moquette, un tavolo da ping pong che raccoglie una serie infinita di piccoli oggetti ammucchiati e un impianto stereo, sparisce l’astronauta e si accendono le luci sulla vita di Serge, su un uomo alto, magro, pallido, dalle mani delicate che gioca con un elicottero telecomandato che non riesce a tenere in volo, si versa del vino, ordina una pizza Margherita al telefono, accende la tv. Vivarium Studio apre il sipario su un pezzo qualunque della quotidianità di Serge, ritagliando per lo spettatore una sequenza di vita ordinaria, priva di sviluppi e di risoluzioni finali. La sensazione di trovarsi di fronte alla routine del personaggio in scena, e dunque di fronte a una serie di azioni che, idealmente, proseguiranno anche a luci spente, trova conferma nel rodaggio perfetto dell’iter di situazioni che puntellano lo spettacolo. Situazioni accompagnate dalla voce registrata di Serge che racconta, in terza persona, ciò che avviene in scena, esplicitando a parole anche il passare del tempo scandito da cambi d’abito e solitarie partite a ping pong.

Ogni domenica Serge riceve un ospite, compie educatamente le azioni di rito ritirando la giacca, servendo qualcosa da bere e offrendo una sedia. Scopo della visita è di assistere a uno degli effetti speciali preparati dal padrone di casa, brevissimi spettacoli di straordinaria banalità. In casa si avvicendano, nel corso di quattro pomeriggi domenicali, diversi ospiti, alcuni dei quali attori prelevati sul posto e istruiti rapidamente.

Una stella filante che scintilla traportata da una scatola montata su una macchina telecomandata, un pasticcio di clacson luce e musica coordinati da Serge al ritmo della Cavalcata delle Valchirie di Wagner, una luce laser che schizza sulle note di John Cage. Alla fine di ciascuna esibizione Serge attende impaziente il giudizio, azzardando candidamente qualche spiegazione che possa accrescere il valore del gesto compiuto agli occhi dello spettatore di turno. Lo stesso Serge, puntualmente, si stupisce delle proprie abilità prestigiatorie, provocando il riso di un pubblico malizioso, decisamente poco abituato a provare meraviglia del quotidiano e delle cose semplici. Meno sincera, la reazione degli attori-spettatori. In quanto personaggi, infatti, essi non sono protetti dalla convenzione teatrale; il loro statuto non consente la schiettezza del giudizio. In tutti e tre i casi, quindi, l’imbarazzo per la banalità dell’effetto speciale prodotto lascia subito spazio alle lusinghe del caso: “Bello, interessante, complimenti”.

Tutti gli ospiti, d’altronde, accettano di buon grado di tornare. Si ritrovano tutti insieme, dunque, in una quarta domenica. Ciascuno arriva da solo, viene accolto come di consueto e si unisce con soggezione alla festa silenziosa che precede e segue l’effetto speciale, il gioco pirotecnico di Serge. La scena sembra un acquario da cui giungono pochissime parole ovattate, voci basse di chi non sa cosa dire, che si appoggiano a gesti di cortesia e a frasi di circostanza. Ciascuno consuma il suo trancio di pizza Margherita e poi abbandona la festa, lasciando Serge ai suoi giocattoli e alle sue meravigliose scoperte infantili.

È uno spettacolo in cui si ride tanto ma a piccole dosi, quasi in silenzio, come gesto di riflesso per i minuti effetti sorpresa messi a punto da Serge con grande compostezza. Si ride dell’andatura mansueta di Serge, del suo corpo longilineo e impacciato. Si ride di ciò che ci si aspetta, come se si godesse nell’osservare fino a che punto possa spingersi l’idiozia di un proprio simile. Si ride dello stupore di Serge di fronte alle sue piccole magie casalinghe e dell’imbarazzo della reazione del pubblico in scena, soprattutto.

Si ride e ci si amareggia, subito dopo. Perché, a pensarci bene, tra gli spettatori di Serge e gli spettatori in sala non c’è molta differenza. All’uscita, nel foyer, noi che abbiamo assistito alla festa silenziosa in casa di Serge, sembriamo proprio quei pesci nell’acquario, ospiti di un party con il volume accuratamente impostato al livello opportuno, che si rassicurano vicendevolmente su ciò cui hanno assistito, versandosi da bere e discutendo amabilmente del tempo. La comicità dello spettacolo lascia immediatamente spazio alla triste consapevolezza di essere diventati spettatori tuttivori, ingoiatori automatici di qualsiasi paccottiglia, configurati in una modalità standard che ci consente di emettere giudizi privi di rischi: “Bello, interessante, complimenti”.

Visto a Short Theatre (Teatro India) Roma  il 5 settembre 2012

in tournée

Terni il 23 settembre Video Centro /studio A Festival internazionale delle arti contemporanee

Prato il 27 settembre Teatro Fabbricone Festival Contemporanea

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