Culture, Interviste, Pensieri critici — 01/08/2012 at 22:35

L’incontro con Roberto Bacci della Fondazione Pontedera Teatro rivela un universo di esperienze artistiche e umane

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L’incontro con Roberto Bacci risale al 2011, in occasione del debutto di Gengè da Uno, nessuno e centomila di Pirandello, in scena al Teatro Era di Pontedera. Sua la regia come la drammaturgia firmata assieme a Stefano Geraci. Una lunga conversazione protrattasi per un intero pomeriggio, prima di assistere allo spettacolo, a cui era seguita anche una visita al teatro, dotato di tecnologie all’avanguardia. Un racconto di una carriera costellata di tappe fondamentali dove il teatro si fonde con l’esperienza umana e assume un valore aggiunto, quando la biografia personale e quella artistica, crescono parimenti.

Gengè regia di Roberto Bacci da Uno, nessuno e centomila 

Poi la sospensione per mesi riguardando la mole di appunti raccolti, una vastità tale di informazioni da incasellare in ogni suo tassello nel tentativo di darne una forma compiuta. Forte era il  senso di inadeguatezza responsabile dell’ indugio ad affrontare ciò che si era ascoltato e trascritto. La difficoltà di trasformare la testimonianza in un documento pubblico. Urgeva un rimedio  per il  tempo perduto, divenuto ogni giorno in più che passava quasi un obbligo. Diventa inderogabile nel momento stesso che si paventa l’occasione nel rincontrare Roberto Bacci al festival Collinarea di Lari, (un progetto di Scenica Frammenti per la direzione artistica di Loris Seghizzi dal 26 luglio al 4 agosto) dove egli è presente con la Fondazione Pontedera Teatro.

Ci si trova di fronte ad un universo di vite che si incrociano, attori e registi da tutto il mondo fautori di un teatro che vuole far fronte a necessità dell’uomo in perenne sfida con se stesso. Il teatro entra a far parte di una coscienza collettiva quando esce per le strade e le piazze. Ogni luogo diventa palcoscenico e tutto questo fa parte della storia di Pontedera, una città della Toscana in cui esiste da decenni una delle realtà culturali e di produzione teatrale tra le più innovative e affermate a livello internazionale. Nato come Centro per la sperimentazione e la ricerca teatrale nel 1974  prototipo di una nuova istituzione culturale e artistica,  la direzione si era prefissata di divenire un luogo di produzione e formazione culturale e teatrale; sviluppare la produttività artistica dei gruppi di teatro; creare un luogo di lavoro comune per studiosi, artisti e operatori teatrali; realizzare progetti di formazione innovativi; fare dell’arte del teatro (in tutti i suoi aspetti) uno strumento di conoscenza dell’uomo su se stesso; sperimentare e realizzare interventi nel sociale per mezzo del teatro; implementare attraverso ampie relazioni con teatri e artisti di tutto il mondo, i contatti tra la cultura e la tradizione teatrale italiana e quelle straniere.

Eugenio Barba e Roberto Bacci  

Dal 1999 il Centro assume la nomina di  Fondazione Pontedera Teatro, istituita dal Comune di Pontedera e dalla Provincia di Pisa, riconosciuta come Teatro Stabile d’Innovazione dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali ed è tra gli enti di rilevanza regionale e nazionale per la Regione Toscana. Il 21 ottobre 2008 viene inaugurato il Teatro Era diventato la nuova sede della Fondazione. La sua attività nell’arco di 30 anni ha visto la presenza di celebri artisti, tra i quali il Teatro Nô, il Kathakhali indiano. La Fondazione ha portato per la prima volta in Italia gli spettacoli di Thierry Salmon, di Zingaro e di Raoul Ruiz, organizzato la tournée italiana della trilogia Beckett directs Beckett e ospitato i lavori di Andrzej Wajda, Anatoli Vassiliev, Eugenio Barba e Jan Fabre. Dal 1986 ospita il Workcenter of Jerzy Grotowski che dal 1996 ha assunto il nome di Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards.

Jerzy Grotowski, Roberto Bacci, Eugenio Barba

La storia di Pontedera Teatro è legata anche con quella dei Festival di Santarcangelo e di Volterrateatro. Dalla metà degli anni ’90, Pontedera è la sede di un festival internazionale e dal 2002 la Fondazione progetta e produce la sezione teatrale del festival Fabbrica Europa a Firenze ( dal 2003 è socio fondatore della Fondazione Fabbrica Europa per le arti contemporanee). Il direttore artistico della Fondazione è Roberto Bacci, affiancato dai co-direttori Luca Dini e Carla Pollastrelli. Il Teatro Era produce e ospita il meglio del panorama teatrale nazionale ed estero e si distingue per le scelte artistiche fuori dagli schemi convenzionali, fucina di sperimentazione e ricerca in cui Roberto Bacci ha un ruolo fondamentale, autore e regista di progetti sempre tesi alla ricerca che studi le contraddizioni della società moderna, legata strettamente al rapporto con il pubblico elevato a testimone attivo e non semplice fruitore.

 Roberto Bacci,Jerzy Grotowski, Eugenio Barba

Tra le sue tante opere drammaturgiche e registiche si ricordano: “Oblomov quando ci si sveglia si è morti”. Ispirato dal romanzo Oblomov di Ivan Gončarov del 1999, “lo spettacolo, cercando di tenere a distanza i luoghi comuni sull’oblomovismo, interroga la complessità che si cela dietro questo personaggio –  spiega il programma di sala – attraversando lo specchio in cui si riflette: il romanzo stesso”. Lo spettacolo “Abito” si rifà al Libro dell’inquietudine di Fernando Pessoa, una produzione del 2010. Scritto insieme a Stefano Geraci Abito è la semplice storia di un uomo qualunque, uno di noi, che, invece di indossare la sua vita d’ordinanza, esce dalla finestra della propria vita e si perde per le strade del suo mondo quotidiano che non riconosce e che non lo riconosce”.

Abito regia di Roberto Bacci  

Ripercorrendo a ritroso la carriera ci si imbatte anche in una particolare messa in scena di “Amleto. Nella Carne il Silenzio”. L’idea drammaturgica era quella di interrogare il testo di Shakespeare con altre domande. L’ultima sua regia creata per il Festival Era che si è svolto dal 27 ottobre al 27 novembre 2011 a Pontedera, dove ha messo in scena “Gengè” da Uno, Nessuno, Centomila di Pirandello, ripreso a Lari al festival Collinarea (1 e 2 agosto).

 La conversazione che segue è il frutto di un lungo incontro con Roberto Bacci. Un colloquio che si è trasformato in un viaggio dentro il Teatro Era, scoprendo tutti i suoi spazi più segreti che sono l’anima e il cuore che pulsa e da vita ogni sera ad un evento artistico. Bacci racconta un’intera vita dedicata al suo amore per l’arte scenica, nonostante egli si definisca «uno che voleva fare il meno possibile ma che si è trovato a fare troppo.Un pigro attivo”, e se mi viene chiesto di ricordare non saprei dire da dove tutto è cominciato. Quando ero studente liceale sentivo il bisogno di cambiare il mondo attraverso il teatro, un teatro politico mosso dall’agitazione per temi squisitamente politici. Andavamo nei paesi per indagare quali problemi ci fossero e il sabato portavamo in scena le contraddizioni. Io cantavo e studiavo architettura a Firenze ma mi accorsi che il teatro poteva portare ad altre direzioni. Il primo lavoro fu gli Oriazi e Curiazi alla Casa del Popolo. La mia iniziazione al teatro fu rafforzata quando nel 1970 decisi di andare ad un festival di teatro a Parma dove vidi il libro Grotowski  Alla ricerca del Teatro perduto scritto da Eugenio Barba  (Marsilio editore).   Decisi subito di scrivere all’Odin Teatret e l’anno dopo ci andai di persona

Un incontro che ha condizionato la sua formazione ?

«Decisi di partire in treno per la Danimarca come osservatore e all’Odin per assistere alle prove di “Min Fars Hus” (La casa del padre). Tornato a casa decisi di lasciare la facoltà di Architettura dove stavo preparando la tesi di laurea per passare a quella di Lettere a Pisa. A ventidue anni mi laureai. Nel frattempo Eugenio Barba fece il mio nome ai giovani di Pontedera, seguaci del Living Teatre che però non avevano mai visto. Questi mi cercarono e mi chiesero di andare a Pontedera perché avevano necessità di un regista che mettesse in scena il Macbeth.»

Parte da qui l’esperienza artistica di Bacci, un uomo sempre teso alla ricerca, spinto anche da inquietudini esistenziali che però gli hanno permesso di sperimentare, cercare, mettersi a confronto con realtà diverse e complesse di tutto il mondo, superando quelle che erano le convenzioni teatrali per ricrearle ex novo. Il suo teatro ha sempre guardato lontano portandosi dietro vissuti del passato. Un’analisi anche sociologica che gli permettesse di sondare le contraddizioni dell’uomo e della società stessa in cui ha vissuto. Le sue prime esperienze artistiche rappresentano il completamento di quanto già stava facendo in altri settori. Lo studente universitario che non si accontentava dello studio. Cosa ricorda di quel periodo?

«Parliamo degli anni ’72, ’73 quando ero iscritto al Partito Comunista e avevo  fatto il servizio militare.  Cominciai a frequentare il Centro di sperimentazione per la ricerca teatrale, un luogo per chi non poteva viaggiare, l’idea era quella di formarsi invitando gruppi teatrale per approfondire la nostra esperienza. Ricevemmo un contributo per invitare a Pontedera L’Odin e imparare tutto quello che si deve apprendere per fare teatro e anche quello per diventare regista. Invitando formazioni teatrali da noi è come se avessimo girato tutto il mondo.»

 Un giro intorno al mondo che è valsa una chiamata importante in patria. Un giovane chiamato a dirigere un festival di teatro tra i più importanti.

«Nel 1977 il Festival di Santarcangelo ci chiamò per portare Plauto un nostro spettacolo itinerante. L’occasione di farci conoscere servì poi a Romeo Doratti (sindaco partigiano) per affidarmi la direzione del festival. Avevo 29 anni. Complessivamente diressi per otto anni Santarcangelo, interrotto solo per alcune edizioni per poter organizzare quello di Volterra e la Scuola internazionale di teatro. Non sapevo cosa fosse dirigere un festival ma questa fu la mia fortuna. La mia idea era quella di fondare dei gruppi di artisti riuniti. Ogni sera c’era un tema che serviva a trasformare la città. Il concetto era quello di portare la città dentro il teatro, con spettacoli misti, teatro e cibo, maschere e cibo, cucine di tutto il mondo. Il teatro all’improvviso. Il teatro politico, il teatro verticale con l’utilizzo di spazi verticali come il campanile, le finestre. Creammo un enorme laboratorio di teatro di strada. Gruppi che assaltavano la Rocca di Santarcangelo e altri che la difendevano. Ugo Volli, uno dei pochi critici presenti lo definii come esempio di “Terzo Teatro”, il radicamento politico sociale, un teatro sociale di alto livello. Decisi anche di fondare un gruppo di di artisti riuniti. Ogni sera c’era un tema e grazie a questo la città si trasformava in una realtà urbana dentro il teatro. »

I numeri possono spiegare l’impegno di Bacci che lo ha portato a dirigere Volterrateatro per dieci edizioni. Un festival divenuto internazionale con la presenza di Vasiliev, Brook, Fabre, la compagnia della Fortezza di Armando Punzo. Dirige otto edizioni del festival di Santarcangelo. La sua firma compare a Fabbrica Europa di Firenze dove viene chiamato a dirigere la sezione teatro. Si contano a centinaia gli artisti che invita. Si arriva quindi alla seconda metà degli anni Settanta quando a Pontedera nasce dalla volontà di Bacci insieme ad un gruppo di giovani convinti di fare teatro sull’onda dell’entusiasmo per il Living Theatre di Julian Beck e Judith Malina. Un’attrazione fatale da cui prende ispirazione un lungo viaggio con l’urgenza di continuare a fare spettacoli e i legami che si instaurano con l’Odin Teatret di Eugenio Barba e il Teatro Laboratorium di Jerzy Grotowski.

Qual’è il perché che spiega il bisogno di fare teatro?

«Perché fare teatro? È una domanda esistenziale, una parola per capire chi sono. Cambiare a poco a poco è il cambiamento cosciente di se stessi. Uno ha degli strumenti per cercare, per porsi delle domande. A Pontedera nascono spettacoli come Laggiù soffia, tratto dal Moby Dick di Melville, dove un attore aveva come compito quello di guidare cinque spettatori per volta e condurli attraverso un percorso che si sviluppava in tutta la città. Il Viaggio nelle mente dello spettatore diventa un video: “un’esperienza limite, la Trilogia della Compagnia laboratorio di Pontedera” che contiene estratti dagli spettacoli Laggiù soffia; Era; In carne ed ossa. Era il viaggio nelle due città: visibile e invisibile. In carne ed ossa (i sogni degli attori) il viaggio nelle mente che sogna. Lo vedevano cinque spettatori alla volta, un lavoro che finito sui libri di storia. Al di là della cronaca c’è la Storia che racconta se ripenso all’avventura in Brasile con Carlos Augusto Carvalho, un attore mito del teatro brasiliano. Con lui ho realizzato quattro spettacoli dirigendolo anche nell’Uomo dal fiore in bocca. Quattrocento repliche in Brasile. Alessandro D’Amico dell’Istituto Pirandello dopo aver visto ben duecento versioni di questa commedia, quando ha visto il mio spettacolo è rimasto stupito. Quando ho messo in scena La poltrona oscura dalla raccolta Berecche e la Guerra. Tre novelle di Pirandello “I Piedi sull’erba”, la Carriola”, “Il soffio”, recitato da Carvalho in due versioni, italiano e portoghese. Franco Quadri venne tre volte a vederci al CRT di Milano. Per questa interpretazione ricevette il Premio della Critica e il Premio Shell come miglior attore. Dopo Carmelo Bene l’esperienza di Pirandello è stata la più forte. Tutto questo porterà nel 2004 alla nascita del progetto Casa Laboratorio per le Arti del Teatro diretto da Cacà (diminutivo di Carlos Carvalho) e dalla Fondazione Pontedera Teatro. Tutti gli spettacoli realizzati in Brasile sono stati portati poi anche a Pontedera.»

L’uomo dal fiore in bocca regia di Roberto Bacci 

Laggiù Soffia regia di Roberto Bacci

Dopo il Brasile c’è la Polonia, altra nazione che diventa partner fondamentale della sua direzione artistica a Pontedera. Nasce l’esperienza con il teatro di Grotowski che fa dire a Bacci: “Colui che non vuole essere modello. La storia di Grotowski a differenza di Barba e di Brook, non si identifica con la storia del suo teatro. Il suo teatro è suo. Ma lui non si identifica con quello.” Per volontà del regista polacco viene fondato il Centro di sperimentazione e la ricerca teatrale dove si da vita ad un’esperienza che apre l’orizzonte teatrale verso i maestri della scena, occasione per fare formazione artistica per gli attori e i giovani registi senza una preparazione accademica. In poco tempo diventa una realtà produttiva affermata a livello internazionale. Un crogiolo di esperienze diverse dove dal teatro si passa a discutere anche di altro.

«Con Grotowski realizzammo anche dei seminari e qualcosa che io definisco parateatro quando lui smise di fare il teatro. C’erano Luisa Pasello, Ryszard Cieslak, un attore di Grotowski che emigrò in America quando ci fu il colpo di stato in Polonia. Io lo invitai a Pontedera e qui visse fino alla sua morte avvenuta nel 1999. Un uomo a cui è stata data la cittadinanza onoraria. Venne Peter Brook e Anatoly Vasiliev. Siamo stati insieme tanto tempo senza parlare di teatro. Si discuteva di politica e di filosofia. »

Ma la passione del teatro per Bacci è inesauribile e la sua carriera si arricchisce di altre imprese. Si arriva a toccare il presente con la citazione di spettacoli come Mutando Riposa che prende il titolo da un frammento di Eraclito, uno di quegli spettacoli che «Nascono quasi “loro malgrado”,  lievitare nella direzione di una loro organicità, di un loro senso, oppure restare dei frammenti staccati senza riuscire a diventare un’opera compiuta. Nasce da un’indagine sull’origine della coscienza nell’essere umano. Sono andato in Africa con gli attori dove in Tanzania abbiamo cercato le tracce delle prime orme dell’uomo.» Le scelte registiche di Bacci fanno discutere e il suo Aspettando Godot interpretato al femminile dalle sorelle Luisa e Silvia Pasello, finisce in tribunale per una denuncia degli eredi di Beckett, indignati nel vedersi rappresentare i ruoli di Estragone e Vladimiro da due attrici e non da uomini che come il testo originale prevede.

Aspettando Godot regia di Roberto Bacci 

Una diatriba legale che farà parlare la stampa inglese tanto che il Wall Street Journal decide di inviare a Pontedera una giornalista per intervistare Bacci e le Pasello.  Un regista capace di affrontare i capisaldi della drammaturgia teatrale con una sua personalissima visione, dando vita ad allestimenti che originano dall’ispirazione del testo originale per evolvere in versioni sceniche contemporanee. Nasce Ciò che resta dalla Montagna incantata di Thomas Mann, Dalla Fondazione Pontedera Teatro, prima al Teatro Manzoni e poi al Teatro Era, sono  passati tutti: dalla Raffaello Sanzio a Cesar Brie, Sandro Lombardi e Federico Tiezzi, Virgilio Sieni, Leo de Berardinis. La stampa si occupa di Pontedera e il critico teatrale Roberto de Monticelli pubblica sul Corriere della Sera una pagina portando alla ribalta nazionale Toni Servillo e Mario Martone Sono solo frammenti di storie che attraversano la vita e i destini di tanti artisti a cui Pontedera deve molto. Un patrimonio di esperienze che Roberto Bacci ha condiviso nell’arco della sua carriera con tutti coloro si sono sentiti parte di un progetto, che non voleva rinchiudere dentro semplici confini, la relazione con l’altro per esprimere attraverso il teatro valori universali. Un teatro in relazione con il mondo dove sia possibile un modello di civiltà a cui tutti possono aspirare. Un teatro capace di affrontare le contraddizioni sapendole gestire come occasione di riflessione partecipata e diventare protagonisti consapevoli.

 

Ciò che resta regia di Roberto Bacci

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