Enociboteatro — 20/10/2013 at 14:57

Di giorno si vende argenteria, di sera si cena al ristorante. Un nome solo: Pampaloni, Firenze.

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Di giorno è una delle più importanti ditte di argenteria di Firenze e dintorni la sera si trasforma in un ristorante. Come Clark Kent in Superman, o Bruce Wayne in Batman. I Fratelli Pampaloni, Gianfranco, 57 anni, e Francesco, 54, dallo scorso dicembre, hanno creato un divertente ed originale spazio (in via del Gelsomino, in zona via Senese) dove si può cenare tra l’argenteria (in realtà ottone argentato), icone trash, ammennicoli kitsh, il tutto in salsa ironica.

Due menù, quello “comunista” (“Dio ce ne scampi e liberi dai comunisti”, dice Francesco, per il quale “Berlusconi è un martire”) e quello “giapponese”: se del primo sarebbe difficile scovare i tratti della cucina del Sol dell’Avvenire e di Baffone, la denominazione è soltanto goliardia e gioco, quella di Tokyo e dintorni ricorda le pietanze nipponiche visto che in cucina il cuoco (non parliamo di chef) è appunto giapponese. Da una parte gli spaghettini con i gamberi, l’immancabile sushi, il salmone, il maiale, dall’altra insalata di mare, fagottini alle melanzane, ravioli bufala e ciliegini, taglierini ai frutti di mare, gamberoni al vino bianco, controfiletto.

Prezzi abbordabili, trenta per le signore e trentacinque per gli uomini. La particolarità è che i camerieri sono gli operai che di giorno lavorano, al torno, al cesello, come fattorini o spedizionieri, nella ditta di argenteria. Il ristorante non ha una vera e propria insegna, anche se una grande statua di colore argento, davanti ad una saracinesca chiusa, dà l’idea che il luogo che stavamo cercando è questo. E’ come entrare in una casa. L’ambiente è familiare. Le vetrate piene di oggetti della loro produzione (la ditta è nata agli inizi del Novecento) dove sfoggiano anche il brand più famoso dell’azienda, le ciotole triangolari che sono esposte anche al Moma di New York. Il ristorante è aperto dal martedì al sabato e chiuso ad agosto.

La livrea dei camerieri (l’alto Paolo, spedizioniere dal 1980, entrato in ditta a quattordici anni, e Alessandro meccanico e fattorino) d’inverno prevede la divisa dei militari dell’ex DDR mentre in estiva sono vestiti da preti con sopra una tuta da metalmeccanico. Bizzarrie eccentriche. Tra dentro, dove sul soffitto campeggia una luminaria che forma falce e martello, e fuori, in una terrazza immersa tra gli specchi tra i gelsomini, i palazzoni, il calcio da calcio della gloriosa squadra della Rondinella e panchine rosa da giardino, i coperti a sedere sono un’ottantina. Praticamente si entra in un museo dove l’aria vintage e vagamente polverosa, l’atmosfera dei macchinari e dell’artigianato, dell’idea imprenditoriale e della fatica si sposa con quest’ulteriore intuizione e guizzo dei Pampaloni (un negozio a Miami di proprietà, tre in franchising a Cipro, Atene e Kiev) che si sono rimessi in gioco in quella che per loro, la ristorazione, era sempre stata un pallino, una passione, una voglia.

Non è un luogo d’elite, ci tengono a sottolineare la natura “popolare” del luogo. Si sembra immersi in uno studio cinematografico, su un set di Tim Burton dove il sarcasmo ed il grottesco, il surreale ed il divertente vanno amabilmente ed in maniera pittoresca a braccetto. Fate un giro e perdete qualche minuto per leggere le etichette dei vini (disegnate insieme ad Elisabetta Doni) dove lo “Schianti” o l’“Uvagina” la fanno da padroni senza dimenticare il “Vinbuco” oppure il “Cattivino”. Tracce di Vernacoliere e politicamente scorretto quanto basta. Sui tavoli grandi candelabri che sembra di essere alla taverna di Dracula in Transilvania oppure in casa della Famiglia Addams. Si mangia sui tavoli di legno spesso da lavoro, ogni tanto ad un angolo sbuca un arnese, un aggeggio, un macchinario o marchingegno, o una testa di cervo impagliata. Un luogo magico, trasognante, fuori dai soliti schemi, un tocco di follia genuina, di creatività carica di sprint.

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