Culture, Pensieri critici — 16/12/2014 at 09:53

Grotowski oggi: riflessioni a confronto

di
Share

PONTEDERA  (Pisa) – Dal 12 al 14 dicembre la domanda è stata: “Chi è Grotowski?” Se lo domandassimo al cosiddetto uomo della strada ma anche allo studente universitario probabilmente la risposta sarebbe: “Grotowski chi?”. Uno tra i maggiori riformatori del teatro contemporaneo – insieme a Carmelo Bene, Antonin Artaud e Julian Beck, secondo Goffredo Fofi, presente al convegno – è ormai un nome che ricorre esclusivamente nei libri di storia del teatro o sulle labbra degli addetti ai lavori più attempati. Perché?

Cogliendo l’occasione dell’uscita del primo libro dei testi completi del Maestro polacco tradotti in italiano da Carla Pollastrelli, il Workcenter di Jerzy Grotowski e Thomas Richards organizza al Teatro Era di Pontedera un convegno – con corollario di spettacoli – per riflettere non solamente sull’uomo di teatro e sull’artista, ma anche sul teorico, il filosofo e il Grotowski politico.
A prescindere dalla presentazione del libro – che non solo è stimolante ma anche ottimamente tradotto – il convegno è stato un insieme estemporaneo di suggestioni, mancando tre presupposti basilari per un convegno, anche se dichiaratamente inteso per coinvolgere un pubblico vario e non solamente gli addetti ai lavori, ossia temi, tempi e relatori.  Alcuni nuclei tematici sono emersi: il pensiero politico del giovane Grotowski e la sua filosofia di vita (per semplificare, un socialismo libertario o un umanesimo laico anticapitalista); le basi del suo teatro e della sua pedagogia, ben esplicitate da Renata Molinari (competenza attorale unita ad aderenza alla realtà, etica del lavoro, molteplicità delle componenti dello spettacolo dove il testo è solo un elemento che non può esistere senza il corpo dell’attore); il valore dell’arte come veicolo di trasformazione sociale e politica.

Grotowski
Grotowski

Purtroppo, sebbene spunti estremamente interessanti, non avendo chiesto ai relatori di confrontarsi sugli stessi, sono rimasti fili persi e la trama non si è mai composta né in un dibattito organico né in un confronto costruttivo con un pubblico molto spettatore e poco compartecipe (almeno in sala, dato che gli incontri nei corridoi sono stati più significativi, un po’ in stile Transatlantico).  La domanda posta sabato mattina da Michele Santeramo, in particolare, ossia perché i teatri sono vuoti e la sua esigenza, come autore, di assumersi la responsabilità di riflettere sull’oggi, quale base per quel rispecchiamento dello spettatore nell’attore – che è alla base del teatro occidentale – al fine di coinvolgere nuovamente un pubblico più ampio di quello che ormai frequenta un po’ annoiato gli stabili italiani è rimasta praticamente lettera morta. A questa esigenza, hanno risposto solamente Massimiliano Civica con un intervento brillante ma che ha rinnegato il bisogno del sincronico nel fare teatro (al che verrebbe da rispondere che non ci si lamenti se poi il grande pubblico identifica il teatro con la tragedia greca e un qualcosa di noioso e distante da sé) e, quasi in contraddizione con quanto appena affermato, lo stesso Santeramo che, pur difendendo il confronto con la realtà, ha poi liquidato lo sciopero nazionale del 12 dicembre – che ha raccolto un’adesione del 70% tra i lavoratori italiani – quale autolegittimazione dei suoi organizzatori, dimostrando uno scollamento con quella stessa realtà che lascia basiti: quasi che i teatranti, come i politici, vivano in un mondo altro. Grotowski, impegnato nella sua polis, che pretendeva un’arte formativa di una nuova etica la quale, a sua volta, rendesse l’individuo veicolo di cambiamento socio-politico scompare nelle nebbie.

Ma torniamo alla domanda inziale: perché i giovani (e le masse) oggi disertano i teatri e, anche al convegno, si sono visti poco – fatto salvo per alcuni membri di Macao, legati da passate esperienze con il Workcenter. Il mea culpa coinvolge tutti. Noi critici, in primis. Qualche sera fa, a Seravezza per uno spettacolo, gli organizzatori mi chiedevano perché i giornalisti di Firenze non si muovano mai dal capoluogo. Quando vivevo a Milano, mi capitava che mi domandassero perché non si recassero nemmeno in periferia! Le risposte sono molte: pigrizia intellettuale, invecchiamento anagrafico, una certa spocchia, forse, ma anche – quando si consideri la critica online che, ormai, ha ampiamente sostituito quella cartacea – mancanza di mezzi. Editori che non vogliono investire in cultura e tanto meno retribuire i critici e teatranti che preferiscono la presentazione – ossia la pubblicità surrettizia – al confronto critico di una recensione onesta sicuramente non aiutano. Le querele nemmeno. È quindi mancata la comunicazione, la sensibilizzazione verso questo evento, così come spesso manca una critica militante che si spenda per artisti giovani, per battaglie appassionate e controcorrente, e i critici residenti nei teatri per costruire percorsi di senso, oltre alla coscienza che ci vuole competenza per scrivere una recensione ma ancora di più per vivere e amare il teatro.

Sono mancate altresì alcune idee oseremmo dire basic, come una trasmissione in streaming, un coinvolgimento delle università italiane (perché non voler essere accademici non significa escludere i luoghi accademici: si possono esprimere contenuti profondi e importanti in maniera accessibile e senza essere banali), oltre che di docenti e di studiosi. Mi chiedo: quanti studenti e dottorandi hanno fatto o stanno facendo tesi su Grotowski? I social network non sono solo luoghi virtuali dove caricare foto del fidanzato e pettegolezzi. Il contenitore può veicolare un contenuto diverso: in questo caso, perché non coinvolgere i giovani con twit su Grotowski ventenne rivoluzionario invece che su Clooney alle prese con l’ennesimo annuncio di nozze?

Temi, relatori e, dicevamo, tempi. Serrare un dibattito, contingentare le relazioni, provocare i relatori e il pubblico, suscitare non sterili polemiche televisive ma reali confronti è indispensabile: un convegno, come uno spettacolo teatrale, ha bisogno di chi diriga con la ferrea mano del regista. Altrimenti, ci si riduce al pour parler, all’aneddotico, al «Io ho conosciuto Grotowski nel…» o, molto peggio: «Io non ho mai conosciuto Grotowski né ho mai letto i suoi scritti o visto i suoi spettacoli» (al che sorge spontanea un’altra domanda: «Perché sei lì in veste di relatore?»).
In conclusione, un’occasione in parte mancata. L’ospitalità del Teatro Era è stata eccellente, la possibilità di incontrarsi davanti a un piatto di farro e discutere di teatro sempre stimolante, ma nessun gruppo di lavoro né occasione di vero incontro al di fuori dei soliti noti.

Per rivitalizzare il luogo teatro, per veicolare contenuti, per riempire le sale occorre avere nuove idee. Il teatro esige la presenza del pubblico, ha affermato uno tra i relatori. Concordiamo. Ma il pubblico va educato, coinvolto, stimolato. Ai tempi di Grotowski, c’era chi restava un’intera notte in piedi per acquistare il biglietto e assistere a un suo spettacolo in una stanzetta angusta con altri, pochi, che si consideravano per questo fortunati. Oggi, un testo come 7 minuti, di Stefano Massini, va in scena negli Stabili – ma il borghese attempato che sbadiglia cosa avrà mai a che fare con quelle operaie disperate? Il teatro deve tornare a parlare di ciò sta accadendo nel qui e ora e deve tornare a farlo nelle scuole, nelle università, nelle fabbriche, nelle piazze. Solo così, si potrà pretendere che lo studente, l’operaio e l’impiegato tornino nei teatri – sempre più costosi, lontani e autocelebrativi. Piergiorgio Giacchè, ultimo relatore, ha affermato che l’uomo ha bisogno di religione per rispondere alla domanda: «Perché sono qui?». Il teatro, arte dell’effimero per eccellenza, risponde meglio della religione: «Qui e ora, sei perché sei».

Seguito al Teatro Era di Pontedera (Pisa) venerdì 12, sabato 13 e domenica 14 dicembre

La possibilità del teatro

venerdì 12 sono intervenuti Carla Pollastrelli, Renata Molinari, Mario Biagini, Federico Tiezzi e Roberto Bacci
sabato 13, mattino, sono intervenuti Michele Santeramo, Massimiliano Civica, Danio Manfredini e Roberto Bacci
domenica 14 sono intervenuti Thomas Richards, Piergiorgio Giacchè, Goffredo Fofi, Georges Banu

Share

Comments are closed.