Cinema — 14/03/2016 at 21:39

Il caso Spotlight è il caso del vero giornalismo

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Spotlight è il titolo originale del film diretto da Thomas McCarthy relativo all’inchiesta che è stata condotta dal Boston Globe tra il 2001 e il 2002 per raccontare il caso di pedofilia all’interno della chiesa di Boston. Il film ripercorre le fasi dell’inchiesta, gli errori della squadra giornalistica di Spotlight e i sensi di colpa e di responsabilità per avere occultato la notizia fino al nocciolo duro dell’indagine che dimostra come i pochi ed isolati casi di pedofilia erano soltanto i primi di una lista lunga novanta nomi di preti. Spotlight mina quindi il cuore di un sistema capillare che con in testa la Chiesa coinvolge i privati ed altre istituzioni, come la scuola e perfino la stampa. Quando alla redazione del Boston Globe arriva il nuovo direttore, Marty Baron, la musica cambia. L’ancien régime, frutto della precedente gestione del giornale, viene rovesciato. L’attenzione di Baron si concentra sulla squadra di Spotlight che si occupa di giornalismo di inchiesta, alla quale commissiona un’indagine approfondita su un caso di pedofilia nella città di Boston, con l’obiettivo di costruire un servizio che descriva un sistema e non racconti semplicemente un fatto sporadico. Il film quindi racconta due storie parallele, una incentrata sulla pedofilia e una sul giornalismo di inchiesta. Paradossalmente il Boston Globe è anche il giornale della chiesa e i giornalisti che lavorano a Spotlight hanno tutti educazione cattolica.

Il caso Spotlight_copertina

Inizialmente l’indagine viene condotta a naso senza fonti attendibili, in seguito viene tracciata una pista che in prima battuta aiuta a rintracciare le vittime (ragazzi poveri o provenienti di famiglie bisognose, che considerano il prete come un ambasciatore di Dio), e poi i preti pedofili, che secondo uno studio psichiatrico costituiscono il 50% del clero che non riesce a tenere fede all’obbligo di castità. Tuttavia i tredici casi scoperti sono niente in confronto al vaso di Pandora che viene scoperchiato successivamente, quando i casi diventano novanta e tutti corroborati dagli annuari della Chiesa che attestano i trasferimenti dei preti da una diocesi all’altra sotto le mentite spoglie di un linguaggio in codice.
Il film scorre bene dall’inizio alla fine grazie all’intreccio e ai personaggi, per i quali Thomas McCarthy ha scelto un cast di tutto rispetto. La squadra è costituita da tre giornalisti, Sacha Pfeiffer (Rachel McAdams), Matty Carroll (Brian d’Arcy James), Michael Rezendes (Mark Ruffalo) e un capoufficio Robby Robinson (Michael Keaton, reduce dal supereroe Birdman di Alejandro Gonzales Iñarritu). Il gioco di squadra tra i giornalisti è funzionale anche a livello cinematografico. La sceneggiatura di Thomas McCarty e Josh Singer debole per i due terzi del film diventa carica di tensione e di ritmo e nel finale si riprende con alcuni spunti più brillanti.

Il team Spotlight

La bellezza del film consiste nel fatto che il giornalismo praticato dai quattro di Spotlight è fedele alla matematica delle parole e sempre ragionato. Nel finale del film l’inchiesta si intreccia alle storie personali dei quattro giornalisti: ognuno di loro finisce per provare un senso di repulsione nei confronti della chiesa, che come istituzione aveva occultato tutti i casi di pedofilia che si erano verificati coinvolgendo i poteri a vario titolo e facendo scomparire i documenti probatori comprando il silenzio delle famiglie delle vittime con un insignificante risarcimento del danno. C’è empatia nell’approccio dei giornalisti alle testimonianze delle vittime, ma il film non si lascia mai andare ad inutili patetismi. L’unica eccezione è l’interpretazione fuori dal coro e più appassionata di Mark Ruffalo, che a differenza degli altri si lancia in una pista investigativa per cui riuscirà a mettere le mani, grazie alla collaborazione dell’avvocato Mitchell Garabedian (Stanley Tucci), su un fascicolo di documenti secretati. Peccato per il premio Oscar sfumato come miglior attore non protagonista.

Mark Ruffalo
Mark Ruffalo

La scena cardine è quella in cui Sacha Pfeiffer, di famiglia cattolicissima, fa leggere alla nonna credente il primo articolo relativo all’indagine, che descrive con minuzia gli abusi praticati dai preti pedofili. Nella reazione implosa della nonna c’è quindi la sintesi di tutto il film. I due premi Oscar per miglior film e miglior sceneggiatura originale sono più che meritati. Il pregio del film è quello di avere restituito un racconto cinematografico dell’inchiesta, che per quanto contemporanea all’attentato alle Torri Gemelle, riuscì a generare il forte impatto sul pubblico che il giornale aveva desiderato smascherando 249 preti pedofili e scrivendo circa 600 articoli riguardanti oltre 1000 casi di pedofilia. Di pari passo va la scelta registica di avere raccontato la bontà del giornalista, che come afferma Baron di Liev Schreiber, sceglie il suo lavoro come una missione di verità nei confronti del pubblico raccontando delle storie che possano rimanere nella memoria storica. Anche per questo motivo Spotlight sarà un film che difficilmente dimenticheremo.

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