Chi fa teatro, Recensioni — 10/04/2016 at 13:28

Federico II. Me. Federico chi? Federico Secondo!

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In un mondo subitamente spogliato di illusioni e di luci, l’uomo si sente un estraneo, e tale esilio è senza rimedio, perché privato dei ricordi di una patria perduta o della speranza di una terra promessa. Questo divorzio tra l’uomo e la sua vita è propriamente il senso dell’assurdo.
Albert Camus, Le Mythe de Sisyphe, 1942

VILLA SAN GIOVANNI (Reggio Calabria) – Una scenografia provvisoria così come i personaggi che occupano lo spazio teatrale del Teatro Primo di Villa San Giovanni. Vite imprigionate in una logorrea di parole intorno alle quali ruota la storia incidentale di Federico II di Svevia. Ricordato anche come lo “stupor mundi” (stupore del mondo) l’imperatore Federico II è strettamente connesso alla costruzione della trama a cui, paradossalmente, si dissocia. I mondi paralleli dello spettacolo “Federico II Me”  portato in scena da  Christian Maria Parisi,  appartengono all’universo filosofico della “patafisica” (la «scienza delle soluzioni immaginarie» di Alfred Jarry) identificativa dell’autore del testo, Domenico Loddo. 

12096575_10205287050832127_3422637687445803333_nLa scena è composta da due sedie accantonate a sinistra del palco, un manichino sul fondo della scena, un’altra sedia di fianco al telo nero che corrisponde alla quinta di destra, e un drappo bianco per quella di sinistra. Sono gli elementi scomposti di un allestimento caotico, cui si aggiungeranno altri, tirati fuori da un grande baule aperto sul fondale.
Un unico “quadro” chiuso e soffocante dentro cui gli attori sono precipitati, da un altrove indefinito, per volere di qualcun altro. Apparentemente sconosciuti ma con la stessa missione: «Aspettare un imperatore morto ottocento anni fa». Un’attesa beckettiana che però allarga la prospettiva, dal particolare all’universale, in un gioco di luci che slittano dalla scena alla platea dove il pubblico è chiamato in causa. Illuminato da un fascio di luce abbagliante, lo spettatore viene interrogato dagli attori: quattro – o forse cinque – personaggi da fumetto, esaltati, falliti, affetti da gravi patologie psicologiche che alterano la loro percezione della realtà. «Ma davvero siamo noi, qui, a parlare?». Vengono messe in discussione le infinite possibilità che possiamo avere e non vogliamo, poiché tutto accade, e «le scelte che non facciamo sono destini monchi».

Le battute e le voci attoriali procedono ritmicamente partecipando alla scansione dello spettacolo. Gli intervalli (di tempo) sono la cronistoria di Federico II di Svevia, a discapito degli interpreti, chiamati a rappresentare le scene storiche del re, come delle marionette legate a un filo. Il filo di una trama empiricamente ipertrofica che corrisponde alle vicende dei personaggi che si perdono a parlare delle loro «stupide vite» in quel non-luogo confinato dal nonsenso. L’assurdo – secondo Ionesco – è qualcosa privo di scopo, staccato dalla religione, dalla metafisica e dal trascendentale, dove l’uomo è perduto ed anche le sue azioni perdono senso divenendo ridicole.
Ancora una volta Christian Maria Parisi utilizza un carattere brillante che funge da contraccolpo alla drammaturgia meta-fisica di Domenico Loddo. La messa in scena è la fusione di un lavoro di ensamble ma è soprattutto l’antitesi della visione escatologica del drammaturgo il quale pone soluzioni e interrogativi attraverso assunti filosofici e continue perifrasi, e di un linguaggio registico di tipo strutturalista sopra un mood recitativo autoironico e grottesco. Ciò che lega autore e regista è il comune e ben riuscito tentativo di sperimentazione sotto un genere thriller introspettivo non tanto sul personaggio, quanto sullo spettatore invitato a riflettere. Una voragine da cui, battuta dopo battuta, si rischia di precipitare verso una concezione esistenziale altra.

11266644_886071938105268_3336234053986303719_nQuella di Benedetto (Stefano Cutrupi) che lotta con il dolore lancinante del cancro (un glioblastoma multiforme), tenaglia per i suoi pensieri, «senza speranza impazziremo… arriva da dove meno te l’aspetti… un miracolo senza domicilio». Un tempo di vita segnato, su cui Benedetto affonda le “assurdità assolute” della vita: «Abbiamo il tempo e non sappiamo come utilizzarlo». La vita di Elena (Elvira Ghirlanda), invece, è quella di una donna «lasciata e persa», tradita. Non esiste peccato né condanna in questa asincronica e istantanea messinscena. Neppure i sentimenti di Elena trovano il posto del perdono. C’è anche un fratello gemello, Annunziato (Alessio Praticò) che ha sempre vissuto nell’ombra di qualcun altro, “secondo” in tutto: in famiglia, a scuola, a teatro, persino in amore. Fino alla Signora Gemito (Silvana Luppino) che si trascina le sue piacevoli sconfitte di cui ha davvero goduto, a causa di una strana patologia di eccitazione cronica – «arrivando persino ad avere 100 orgasmi al giorno» – ogniqualvolta qualcuno pronuncia la parola “cioè?”: una parola che grammaticalmente è una “congiunzione coordinativa” e scenicamente – si scoprirà essere lei – l’artefice di questa condizione meta-teatrale cui gli attori sono costretti e da cui tenteranno più volte di fuggire.

Di colpo, la finzione si scontra con la realtà e non riesce a vincere. «Come si fa ad uscire da qui?». Persino le musiche sembrano essersi intrappolate nei reflussi del testo: “L’angelo azzurro” di Umberto Balsamo diviene la colonna sonora di questa sfrenata follia d’ensamble affidando un ruolo anche al cantante, nella storytelling dell’evento spettacolare. Fino a quando parole, luci e canzoni si azzerano, cala il buio, la scena cambia. Federico Secondo riprende i sensi e si sveglia da quel lungo sonno di una seduta d’ipnosi.  «In un altro posto, potremmo conoscerci diversamente da come ci conosciamo». E adesso? Cosa resta  da analizzare di un testo così assurdo e complicato – per chi lo guarda e chi lo fa – se non altre storie pronte a ricoprire i buchi entro cui abbiamo sottratto le nostre mancanze? Quelle di Federico… Ma Federico chi? Federico Secondo! Alla fine dello spettacolo in molti non hanno riconosciuto il personaggio di Federico e con una serie di ipotesi hanno tutti esordito così: «Federico, Secondo Me…».

Visto al Teatro Primo di Villa San Giovanni il 4 aprile 2016
Federico II Me
di Domenico Loddo
Con Alessio Praticò, Silvana Luppino, Stefano Cutrupi, Elvira Ghirlanda
Regia Christian Maria Parisi
Foto Pietro Morello
Produzione Ass.Cult. Teatro Primo

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