Teatro, Teatrorecensione — 10/04/2014 at 23:06

La cerimonia. Les bonnes di Genet si atteggiano a fare la Madame

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Il dono della Signora: l'abito rosso (foto di Andrea Grandoni)
Il dono della Signora: l’abito rosso (foto di Andrea Grandoni)

FIRENZE – La cerimonia non è una festa, anche se il titolo potrebbe semplicisticamente alludere a questo. E’ solo uno spettacolo di danza teatro. “Il progetto –racconta la regista Marilena Manfredi è partito tre anni fa, dietro la proposta avanzata all’Assessorato alle Pari Opportunità del Comune di Signa. Si tratta di uno spettacolo di sperimentazione, nonché di un vero esperimento umano”. Il progetto si è sviluppato in forma ibrida, unendo gruppi e livelli diversi. Dei ventisette interpreti soltanto due sono professionisti, mentre il resto è composto da allievi attori e danzatori della scuola Arte in corso (Signa, Firenze), dagli allievi del centro di salute mentale Isola delle Tartarughe (Campi Bisenzio, Firenze) e dal laboratorio “Otto sabati da attrice” (Signa, Firenze). “Lavorare con gruppi così eterogenei, per formazione e per media anagrafica, è stato molto coinvolgente da un punto di vista umano –prosegue la regista– un bel banco di prova per tutti, in cui ogni interprete offre liberamente il proprio contributo”.

Foto di Andrea Grandoni  (coro di voci)
Foto di Andrea Grandoni
(coro di voci)

Ispirato liberamente a Les bonnes, (Le serve, 1946) e a Le Balcon (Il balcone, 1956) di Jean Genet, il testo realizza in maniera nuda e cruda la concezione che il drammaturgo francese ha del teatro. Il teatro come “luogo dell’odio” in cui i personaggi sono legati indissolubilmente tra di loro da un filo invisibile, che li costringe tutti, senza alcuna distinzione, a recitare una parte. La propria o quella di qualcun altro? La chiave di volta sta proprio nella risposta a questa domanda, ma non è detto che una risposta univoca esista. All’apertura del sipario gli spettatori sono gettati immediatamente in medias res, con l’apparizione di tutti gli interpreti in proscenio e la chiamata delle “signore attrici” da parte di una figura terza, un uomo vestito in abiti eleganti e borghesi (Eugenio Dura), che riveste i panni del narratore e del critico teatrale, con la funzione di fornire utili spiegazioni al testo e alla messa in scena.

foto di Andrea Grandoni (coro di voci)
foto di Andrea Grandoni (coro di voci)

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 Dopodiché la farsa ha inizio. Le due serve e sorelle, Solange (Dania Nassini) e Claire (Emma Bandini), reso nella versione italiana di Chiara, mettono in atto un sofisticato gioco di ruolo dai toni sfumati, in cui è labile il limite tra chi interpreta la parte della serva e chi quella della signora, quando quest’ultima non è in casa. Il tema del doppio, caro a buona parte della letteratura da Schnitzler, Carroll, Wilde fino a Pirandello e Calvino, assume in questa opera caratteri schizofrenici: le due serve, infatti, sono completamente interscambiabili e neppure loro sembrano, da un certo momento in poi, ricordare più chi sono. Il doppio così si manifesta a sua volta doppiamente, sia nel recitato, sia nella danza, in cui due figure, una nera e una rossa -gli stessi colori degli abiti delle serve- si rincorrono in una danza ritmata, che assume la forma di un vortice. Ognuna delle due danzatrici resta inevitabilmente legata all’altra in un rapporto tra opposti che si attraggono.

 Su tutto domina la Signora (Lisa Capaccioli), evocata attraverso il colore rosso, che distribuisce magnanimità e doni nei confronti delle due serve. “La signora è buona, la signora è bella, la signora è dolce” -dice Chiara, in un monotono refrain. Nonostante la frase possa trarre facilmente in inganno, anche nei confronti della Signora si manifesta la stessa pulsione freudiana di amore-odio: le due serve amano la Signora per la sua gentilezza, ma allo stesso tempo, vista la loro misera condizione, vorrebbero trasformarsi in tutto quello che lei rappresenta e che loro non saranno mai: il sublime. In un ennesimo gioco rituale, Chiara e Solange mettono in atto la loro cerimonia. Cerimonia che in fondo ha ben poco di sacro e che si consuma con un omicidio all’interno delle mura domestiche, per cui una sorella uccide l’altra, mentre quest’ultima finge di interpretare la Signora.

Omicidio quindi all’interno del teatro nel teatro. Finzione o realtà? Oppure entrambe? È con questo dubbio che ci lascia alla fine lo spettacolo. Chi siamo noi, in fondo? Vittime o carnefici? E soprattutto, dov’è l’essere? I personaggi vanno alla ricerca di se stessi, indossando i panni di un altro. Ma non è detto che la strategia funzioni e che un “io” esista veramente. Come avrebbe detto Sartre, l’inferno sono gli altri. Ma a volte lo siamo anche noi.

Visto al Teatro delle Arti (Firenze) il 4 aprile 2014.

La cerimonia

Ideazione e regia: Marilena Manfredi

Coreografie: Laura Ghelli

 

Con: Emma Bandini, Jessica Bacchetti, Francesca Bellagotti, Gabriella Benelli, Simona Bagnolesi, Lisa Capaccioli, Maria Clorinda Cardile, Marta Cecchi, Marco Cecioni, Ernesto De Viti, Eugenio Dura, Paola Garau, Tamara Mancini, Lucia Marradi, Patrizia Miniati, Elisabetta Morandi, Silvia Mori, Catia Nardi, Dania Nassini, Maria Naldoni, Roberta Orefici, Silvia Pandolfi, Eugenio Sciascia, Cristina Ricci, Daniela Rocca, Paola Tei, Valentina Rugi, Linda Vinattieri, Paolo Vangi.

 

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