Teatro, Teatrorecensione — 09/06/2015 at 23:06

La vita “crocefissa” raccontata da Danio Manfredini

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ALBENGA (Savona) – Un cinema trasformato in sala teatrale, spazioso quanto inadatto per poter allestire spettacoli, non essendo nato allo scopo di far recitare degli attori. Diversamente da quanto è accaduto in passato, dove molti teatri venivano convertiti in cinematografi, l‘Ambra di Albenga si presta a supplire, causa forza maggiore, ad un’assenza cronica di un teatro che possa accogliere una compagnia teatrale in grado di esibirsi grazie alle tecnologie in uso di cui un palcoscenico deve essere dotato. Nonostante questa grave carenza, segno di trascuratezza da parte dell’amministrazione e degli enti preposti, Albenga può disporre di una stagione teatrale di tutto rispetto, grazie al costante impegno che la Compagnia Kronoteatro diretta da Maurizio Sguotti, che si prodiga affinché i cittadini di questa città votata al turismo estivo, possano godere del piacere di assistere ad una rappresentazione teatrale. Dotare Albenga di un teatro funzionale gioverebbe a tutti. Maurizio Sguotti il teatro la fa con il cuore e forse la scelta del logo della stagione 2014-2015 “Tanto al kg” (un cuore umano), sembra sottolineare questo suo impegno dettato da una forte passione.

Dopo questo doveroso preambolo è il caso di parlare di chi il teatro lo fa, lo conosce, ne ha fatto una ragione della sua vita: Danio Manfredini. Un artista capace di creare suggestioni di impalpabile leggerezza come nel suo Tre studi per una crocefissione, un titolo ispirato dall’opera d’arte di Francis Bacon. Di Danio Manfredini si conosce tutto il suo percorso artistico – creativo, dettato da un continuo bisogno di capire i moti dell’animo umano, di sondare negli abissi più oscuri popolati da inquietanti, solitari, disperati, sofferenti appartenenti a tutto lo scibile umano che si possa immaginare. Sono figure che emergono da nulla, dal buio di un palcoscenico scarnificato nella sua essenza, luogo in cui agiscono con fare dolente e incedono a fatica sulla scena. Bacon dipinse tre quadri in cui sono raffigurate tre figure con l’intento di rappresentare con uno stile prettamente evocatorio e drammatico la condizione esistenziale in cui si ritrovano i tre soggetti appartenenti al mondo contemporaneo. Il passaggio dalla pittura al teatro è quasi una condizione d’obbligo, come se fosse avvenuta una traslazione che permetta di rendere materia viva ciò che è stato realizzato al solo scopo di essere ammirato. Una sorta di materializzazione dell’inquietudine che è insita dentro l’opera di Bacon.

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Da vent’anni Danio Manfredini porta sulle scene questo capolavoro d’arte teatrale e ciò che stupisce è la sua adesione all’attualità nei tempi che scandiscono i tre studi, ovvero le tre storie di altrettanti personaggi che vivono ai confini della società, la stessa che li ha partoriti e poi, forse, ripudiati, come degli estranei. Un uomo affetto da patologia psichiatrica, un transessuale, un immigrato. Sono esseri umani abbandonati a se stessi, alla deriva, confinati per mano della loro esistenza così fragile, incapaci di potersi legittimare un ruolo nella società. Sono persone che si rinchiudono dentro le loro stesse anime, si appiattiscono a tal punto da scomparire nel buio non solo fisico ma anche, sopratutto mentale. Disperati e solitari. In un mondo dove non c’è posto per chi vive una condizione di diversità, l’attore che incarna i tre personaggi, sembra dirci che è impossibile sottrarsi all’ineluttabilità del destino, a cui non c’è scelta se non quella di rassegnarsi. Tutto ciò provoca un annichilimento della persona. Tre studi per tre storie. Un uomo affetto da una patologia psichiatrica rinchiuso in un suo mondo (l’attore conosce bene i servizi di cura per il disagio psichico, avendoci lavorato a lungo), Elvira un transessuale disperato dove l’unica consolazione per la sua sofferenza di avere cambiato sesso per amore, ripudiata e alcolizzata, sarà quella di interromperla con un gesto tragico e liberatorio, liberamente ispirato ad “Un anno con tredici lune” di Fassbinder.

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Chiude il terzo studio un uomo straniero, un immigrato extracomunitario che improvvisa passi di danza come stratagemma alla sua condizione di emarginato. Tratto dal monologo di Bernard-Marie Koltès: “La notte poco prima della foresta”, la recitazione si basa su una partitura scenica resa mirabilmente facendosi accompagnare dalle note di Bach. Manfredini li porta in scena con una recitazione fisica, gestuale, espressiva corporea tale da far passare in secondo ordine il testo drammaturgico, la parola è a completamento come se fosse secondaria, là dove il corpo piegato e abbruttito, l’incedere claudicante del paziente psichiatrico, il suo eloquio stentoreo nel raccontare ad un suo uditorio immaginario, la sua passione per la Divina Commedia, l’Inferno, il senso della sua esistenza inquieta, sulla vita segnata da croci come quello che appare appeso sul fondo del palcoscenico a ricordarci dall’inizio alla fine che tutto sembra originarsi dalla crocefissione e di conseguenza l’uomo è destinato a soffrire. Destinato a soccombere anche se la vita potrebbe piacere, come ad Elvira, decisa a togliersi la vita solo perché non è più consona alle sue aspettative. La delusione porta alla lacerazione e di conseguenza non c’è altra scelta. Sono soli e nessuno li ascolta. Il loro bisogno disperato di amore è un urlo strozzato in gola. La presenza scenica di questo attore crea un alone di suggestioni anche mistiche, visionarie, poetiche nella loro struggente tristezza. Senza mai chiedere facili consolazioni che risulterebbero patetiche, Danio Manfredini racconta come esista una realtà di cui noi non vogliamo farci carico, incapaci di fermarci per un attimo ad ascoltare chi ci invoca la sua richiesta di aiuto, di semplice e umana comprensione.

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L’egoismo ci allontana dalla sofferenza, credendo così di poterla evitare senza esserne coinvolti. Ad esserlo è il pubblico, invece, attratto, affascinato, rapito da questa presenza che ora si fa evanescente, ora possente, con i cambi di costume a vista per compiere un rituale di vestizione e svestizione dell’anima e del corpo. Messa a nudo per essere compresa senza filtri. Il teatro di Danio Manfredini è radicale nella sua onestà intellettuale, senza mai cercare il facile consenso e soprattutto il compiacimento.

Tre studi per una crocefissione

di e con Danio Manfredini

Luci di Lucia Manghi, collaborazione al progetto Andrea Mazza, Luisella del Mar, Lucia Manghi, Vincenzo del Prete. Distribuzione La Corte Ospitale. 

Visto ad Albenga nell’ambito della stagione Kronoteatro il 24 aprile 2015 

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