Recensioni — 05/06/2016 at 19:36

Storia di padri e figlio: una “favola” moderna e reale

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CASTROVILLARI (Cosenza) – Dal Festival Primavera dei Teatri a quello delle Colline Torinesi, da Sud a Nord due “Geppetti”, risalgono la Penisola per raccontare come una coppia di uomini desiderano avere un figlio. Sono come Geppetto di Carlo Collodi, il primo papà single della “storia di tutte le storie”, deciso ad avere un suo bambino (da un pezzo di legno ricevuto in dono da Mastro Ciliegio), e chiamato Pinocchio. Qui i genitori adottivi sono Toni e Luca che decidono di ricorrere ad una tecnica diversa: quella dell’inseminazione artificiale tramite una “gravidanza per altri”, metodo a cui ricorrono molte coppie etero e non solo, volando in America o in Canada. In Italia questa pratica è vietata per legge.

Domenica 5 giugno alle 21.30 va in scena in prima nazionale al Teatro Astra di Torino “Geppetto e Geppetto”, scritto diretto ed interpretato da Tindaro Granata. Dopo averlo portato in anteprima al Festival “Nuovi linguaggi della scena contemporanea” (venerdì 3 giugno)  –  la nuova produzione targata Teatro Stabile di Genova, Festival delle Colline Torinesi (Torino Creazione Contemporanea) e Proxima Res, racconta una vicenda che richiama l’attualità della nuova legge sulle unioni civili, approvata dopo un iter lungo quanto contestato, sia in Senato che alla Camera dei Deputati (a firma di Monica Cirinnà), dove l’articolo 5 ( definito come “stepchild adoption”), vizio italico di usare l’inglese anche quando non è obbligatorio, il quale  prevedeva l’adozione del figlio legittimo di uno dei due partner, delle coppie omosessuali, è stato stralciato in fase di approvazione. Pena il rifiuto di votarla da parte di uno schieramento politico.

Paolo Li Volsi e Tindaro Granata (foto di Angelo Maggio)
Paolo Li Volsi e Tindaro Granata (foto di Angelo Maggio)

Spiega Tindaro Granata, (sempre più efficace la sua scrittura), che l’elaborazione del testo drammaturgico è stato «scritto dopo aver incontrato, discusso e ragionato alla Stazione Centrale di Milano, insieme a a persone alle quali ho rubato pensieri, paure, stereotipie, rabbia, intolleranza, odio e amore». Un’Italia divisa , frammentata, e c’è chi prova anche un furore ideologico, che fa dire ad un prete, Don Massimiliano Pusceddu, nella sua predica del 28 maggio scorso: “Dio ha abbandonato gli omosessuali. I gay meritano la morte”.  Deriva di una mentalità oscurata e poco comprensibile. L’autore con intelligenza artistica ed umana, ha scelto di salire sul tram, per strada, e “dalle 23.30 alle 3.05 con la signora Concetta Procopio, sul bus di ritorno da Castrovillari, il 2 giugno 2015”, facendo parlare tutti: pareri favorevoli e contrari. Senza censure preventive o manipolazioni ideologiche e soprattutto, evitando ogni forma di apologia, per un tema difficile da analizzare nella sua complessità, sia per i risvolti etici morali che legali; ancora più difficile da comprendere per una parte della società, politica, civile, compresa la Chiesa Cattolica, la quale, tramite i suoi vescovi e cardinali, intima ai sindaci di non rispettare la Legge e di non unire civilmente le coppie omosessuali. Esistono, e sono ancora in vigore, i Patti Lateranensi, il Concordato tra Stato Italiano e Chiesa, istituito nel 1929: un accordo bilaterale per disciplinare l’attività ecclesiastica all’interno dell’Italia. Fin qui è politica, costume e società, e qualcosa di ben più serio di uno spettacolo teatrale, ma quello visto al Teatro Sybaris di Castrovillari assume una valenza che va oltre alla semplice rappresentazione.

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Partendo dal “Quaderno di Matteo S.”, nero e bianco, in stile quaderno della scuola elementare (le note di regia di Tindaro Granata ), dove con una calligrafia da bambino c’è scritto: « (…) Geppetto e Geppetto è nato dal mio estro e dal desiderio di capire che la gente…estro e desiderio sono entrambi maschile! È meglio che non si pensi ad un genere di racconto fatto di generi. Non è la storia di una bandiera spinta dal vento del “pro” o da quello del “contro”. Questa è la storia di un papà che vuole fare il papà a suo figlio e di un figlio che vuole fare il figlio di suo papà. “Se ci sarebbe più amore”… dicono i personaggi di questa storia…

foto di Angelo Maggio
Roberta Rosignoli, Paolo Li Volsi, Tindaro Granata  (foto di Angelo Maggio)

Un tavolo al centro della scena, intorno delle sedie, altre disposte su due file ai lati del palcoscenico . Su tre cartelli appesi si legge: “ A volte è agenzia. A volte è cucina. Avvolte è scuola” (scritto con due v), tre fasi che riassumono la vicenda dove gli attori entrano in scena e si dispongono seduti, a seconda dei ruoli assegnati; una sorta di testimoni presenti anche quando non sono direttamente coinvolti dal ruolo a loro assegnato. Tutti identificabili per il nome incollato su semplici magliette nere. Felice intuizione, quella di vestire gli attori di un nero neutrale quanto sobrio per non differenziare nessuno.  Toni e Luca sono la coppia unita da anni, Paolo Li Volsi, (attore molto convincente e dotato di una forte energia espressiva) e Tindaro Granata, seduti in un colloquio/prologo rivolto ad un’agenzia specializzata, per confessare  il loro intento, o meglio un desiderio di uno solo: Toni, convinto di voler un bambino, mentre Luca ha tanti dubbi; si fa portavoce di un pensiero se sia giusto averlo tramite una gravidanza chiamata con un’espressione che stride: “affitto dell’utero”. Nasce una discussione accesa e conflittuale, tra desideri e paure, crea diffidenza tra i due uomini legati, si da un sentimento d’amore, ma inizialmente divisi da una scelta difficile. Franca è l’amica di della coppia , ruolo assegnato ad Alessia Bellotto, per nulla convinta che la coppia faccia bene nel volerlo questo bambino. La madre di Toni, l’attrice Roberta Rosignoli, è una donna che ha accettato di buon grado l’unione di suo figlio, con un altro uomo, ma dimostra una totale disapprovazione che le fa dire: “ Non è che uno può pensare una cosa e poi la fa!.. i figli sono una cosa seria… siamo animali che amano...”, convinta che far nascere un bambino così comporti una responsabilità talmente seria, da dover rimettere in discussione il rapporto con il proprio figlio.

Lucia Rea e Angelo Di Genio (foto di Angelo Maggio)
Lucia Rea e Angelo Di Genio (foto di Angelo Maggio)

Nei dialoghi tra i due si odono frammenti registrati durante il Family Day del 30 gennaio scorso. Frasi raccolte tra i manifestanti che spiegano bene come si possa alterare la realtà, infarcendola di pregiudizi contro la possibilità di ottenere dei diritti per tutti: “Se mi innamoro di un maiale non significa che mi posso sposare con un maiale”. Voci distoniche che entrano nella dinamica della storia di Geppetto e Geppetto, come un disegno geometrico che si evolve e cresce grazie ad un clima emotivo/recitativo in continua evoluzione. L’ironia, la leggerezza, la bravura di un gruppo di giovani attori e attrici costruiscono per gradi la vicenda, dove al centro c’è un bambino di nome Matteo che il regista affida ad un attore di talento come Angelo Di Genio. Interprete di un bambino e di un uomo adulto poi,  capace di interpretare nella prima parte quel figlio tanto desiderato, buffo e tenero nelle sue movenze grazie ad schema registico capace di creare dei movimenti scenici d’effetto con entrate ed uscite sempre molto efficaci. Una sorta di agorà famigliare affettiva, relazionale, in cui agiscono pulsioni di ogni tipo. La bravura degli attori è il collante che la regia sa creare, unisce, divide ed esplode a seconda dei rapporti che si instaurano tra i personaggi. Pare una partita a scacchi tra pedine viventi: Roberta Rosignoli è una madre intensa, passionale, lucida e coerente ma capace di cambiare opinione, vedendo crescere quel bambino che è a tutti gli effetti è suo nipote. Geppetto Toni non vedrà crescere suo figlio e Geppetto Luca dovrà farsi carico di tutto, rischiando la perdita del bambino, non avendo nessun diritto legale di paternità riconosciuta nei suoi confronti. Il dramma si fa vivo: i rapporti si incrinano tra padre e figlio nel frattempo divenuto uomo e cosciente di essere stato concepito diversamente dai suoi compagni che a scuola lo deridevano.

Paolo Li Volsi, Angelo Di Genio, Tindaro Granata (foto di Angelo Maggio)
Paolo Li Volsi, Angelo Di Genio, Tindaro Granata (foto di Angelo Maggio)

La maestra di Matteo è Lucia Rea chiamata ad intervenire in aula per evitare forme di discriminazione e dileggio tra compagni, a danno di un bambino che ha due papà. La trama è lunga e non si può descrivere minuziosamente  ma quello che vale la pena ricordare è l’intensità della narrazione, composta da dialoghi serrati, battute fulminanti, parole aspre e taglienti ma anche divertenti. Si ride in questo spettacolo ed è il valore aggiunto giustamente cercato. I sentimenti si mescolano, creando come una sorta di subalternità proiettata verso un volere superiore, quasi un’entità indefinita astratta. I registri evolvono dall’ironico al drammatico, sempre gestiti con quella leggerezza necessaria per non scadere mai e trasformarsi in qualcosa di patetico. Entrano in scena Carlo Guasconi , l’amico di Matteo e Lucia (ancora Lucia Rea) la figlia di Franca. Cosa ci dice alla fine Tindaro Granata – molto convincente anche nell’interpretazione del suo personaggio (non si assegna mai un ruolo da protagonista assoluto, dando più importanza agli altri, segno di lungimiranza professionale), con questa storia? Lo fa dire ad Alessia Bellotto: “Come sono strane le famiglie…forse ho avuto una famiglia troppo normale, forse è per questo che ho avuto troppi problemi”. O ancora una straordinaria e dolente Roberta Rosignoli: “ Siamo disumanizzati!”. Tradotto significa che amare ha le sue gioie e dolori sia nei rapporti eterosessuali quanto quelli omosessuali. Senza apologia né retorica, l’autore non da lezioni di morale spicciola. Lo spettacolo è vincente per bravura di tutti gli interpreti, grazie ad una regia che chiede loro un equilibrio recitativo molto ponderato. Ognuno partecipa in ugual misura. Qualche passaggio può essere rivisto nella seconda parte, quando il bambino Matteo, divenuto adulto dovrà fare i conti con la sua vita e con quella dei suoi cari. Una strana famiglia ma sempre famiglia è. Va ripreso il testo per non dilatare eccessivamente la trama in risvolti secondari.

Angelo Di Genio e Tindaro Granata (foto di Angelo Maggio)
Angelo Di Genio e Tindaro Granata (foto di Angelo Maggio)

Il passaggio, lo snodo che conta alla fine, è la presa di coscienza di affetti e sentimenti capaci di unire e di dividere. Volere un figlio non significa solo procrearlo o crescerlo, c’è ben altro e uno dei Geppetti, ritorna per un attimo sulla scena, vestito di bianco con un grammofono in mano: esce la voce che racconta di come questa storia abbia determinato emozioni difficilmente cancellabili. L’ultima scena con Matteo /Angelo è una mano tesa verso il pubblico/mondo che c’è intorno, e le parole affidate all’attore sono la chiusura sensibile e delicata di una storia universale. Accade qualcosa di definitivo che riavvicinerà per sempre un padre e un figlio. Un figlio e un padre. Un moderno Geppetto e un normale figlio.

Visto al Festival Primavera dei Teatri – Scena Verticale di Castrovillari il 3 giugno 2016

Domenica 5 ore 21.30 e lunedì 6 Giugno ore 19.30

prima nazionale Festival delle Colline Torinesi Teatro Astra Torino

Dal 8 al 18 Giugno al Teatro Duse Teatro Stabile di Genova

Geppetto e Geppetto

Con Alessia Bellotto, Angelo Di Genio, Tindaro Granata, Carlo Guasconi, Paolo Li Volsi, Lucia Rea, Roberta Rosignoli.

Regista assistente Francesca Porrini

Allestimento Marrgherita Baldoni

Luci e suono Cristiano Cramerotti

Movimenti di scena Micaela Sapienza

Organizzazione Paola A. Binetti

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